Sightings - Michigan Haters (2002): Temibilissimi, caotici, ultrarovinosi i primissimi del noise-trio, forse un po' acerbi in prospettiva dei mezzi miracoli che riusciranno a fare in successione. Comunque bravi nei loro tellurismi spastici, a loro modo creativi e persino interessanti nei pezzi da 8/9 minuti. Certo che arrivare alla fine è dura, ma ricompensa. 6,5/10
Dirty Projectors - Lamp Lit Prose (2018): Gli arrangiamenti sono cangianti e il songwriting è a tratti brillantissimo, ma tutti quei coretti in falsetto e le derive ultra-pop rendono diabetico gran parte dell'insieme. Paradossalmente se si fossero presi più sul serio sarebbero stati più simpatici. 6/10
Mark Kozelek - Mark Kozelek (2018): Nonostante un ritorno a dimensioni più intimiste rispetto all'orribile pseudo-rap del 2017 e qualche armonia in penna delle sue, non c'è quasi speranza che Markone rinsavisca e la smetta di farneticare questi interminabili monologhi che sinceramente hanno un po' rotto i maroni. 5/10
Dadamah - This Is Not a Dream (1995): Lo-fi-psych mutuato dai Velvet Underground, con quelle morbosità innocenti tipiche, un buon lavoro di chitarre (Roy Montgomery), ma alla lunga un po' troppo letargico. Indicato generalmente come una pietra angolare del genere, mi lascia abbastanza disinteressato. 6,5/10
Grifters - So Happy Together (1992): D'accordo, un disco coraggioso e pieno di spunti il debutto dei memphisiani, ma in prospettiva inferiore ai due successivi (soprattutto il capolavoro Crappin' you negative), cioè meno ricco di quelle trovate melodiche geniali. Qui si prediligevano i colpi di scena sonori, perdendo un po' il filo del discorso. 6,5/10
Jessamine - Another Fictionalized History (1997): Raccolta di singoli, che detta così suona strano per un gruppo ai margini come i Jessamine, a metà '90s stabili su Kranky, dediti ad una psichedelia invero letargica, semi-rumoristica, dediti alla jam e ben poco concentrati ad una visione d'insieme. In una parola, noiosi. 6/10
Cluster & Eno - Cluster & Eno (1977): Fascinosa joint-venture sulla carta, non troppo riuscita nella pratica. 9 vignette brevi e mixed feelings, dall'ambient al minimalismo, in una veste non molto omogenea. Autoreferenziale nonostante i suoni siano fantastici. 6,5/10
Daniele Patucchi - Man from deep river (1972): Il refrain principale è da manuale come si conviene ad un nostro purosangue di razza della soundtrack, mai abbastanza citato nelle cronache. Peccato che venga ricoperto di dialoghi e riprese che lo rendono un documento fine a sè stesso, forse per mancanza di qualcosa di più ufficiale. 6,5/10
Great Saunites - Brown (2018): Disco confusionario, troppo preso dalla smania di svariare nel suo minimalismo e citazionismo e situazionismo che non porta un granchè in là. Questa deriva intellettuale che hanno imboccato i GS non mi sfagiola. 6/10
Red Stars Theory - But sleep came slowly (1997): Se esistesse un sensore che indica la percentuale di Novantaesimo in un disco, questo direi si assesterebbe al 99%. Buon indie-emo-slowcore, diciamo fra Rex, Joan Of Arc e Modest Mouse, forse mancano un po' i colpi compositivi. 6,5/10
American Football - American Football (LP2) (2016): Per quanto sia formalmente impeccabile, suonato da dio e gradevole, non riesco ad impazzire per il ritorno dei numi tutelari dell'emo-soft (perchè soft è, sfido chiunque). Cantilene tortuose, intarsi di chitarre complicati quanto leggeri, voce un po' fastidiosa nel suo inerpicarsi. Torpore sommario. 6/10
Brian Case - Plays Paradise Artificial (2018): Il mitico BC gioca a fare il tenebroso crooner elettronico, come se volesse dare una sua interpretazione glaciale dei Suicide. Non mancano buoni momenti ma l'impressione è che si sia dato ad un esercizio di stile che non è proprio nelle sue corde. Ma una reunion dei 90DM, no? 6/10
Guru Guru - Kanguru (1972): Meglio del precedente Hinten ma ancora nulla di fronte a quell'UFO con cui bombardarono la terra un paio d'anni prima. Senza quegli sballi, GG era un power-trio muscolare di space-blues sul pezzo ed avvicente, ma il fattore sorpresa era definitivamente bruciato. 6,5/10
Mount Eerie - Now Only (2018): Col lutto che ha subito, a Phil Elvrum si perdona tutto, anche un disco svanito, monotono e privo di impennate come questo, che peraltro soffre di una verbosità eccessiva, diciamo grossomodo il morbo dell'ultimo Mark Kozelek. Contagio? 6/10
Dirty Projectors - Lamp Lit Prose (2018): Gli arrangiamenti sono cangianti e il songwriting è a tratti brillantissimo, ma tutti quei coretti in falsetto e le derive ultra-pop rendono diabetico gran parte dell'insieme. Paradossalmente se si fossero presi più sul serio sarebbero stati più simpatici. 6/10
Mark Kozelek - Mark Kozelek (2018): Nonostante un ritorno a dimensioni più intimiste rispetto all'orribile pseudo-rap del 2017 e qualche armonia in penna delle sue, non c'è quasi speranza che Markone rinsavisca e la smetta di farneticare questi interminabili monologhi che sinceramente hanno un po' rotto i maroni. 5/10
Dadamah - This Is Not a Dream (1995): Lo-fi-psych mutuato dai Velvet Underground, con quelle morbosità innocenti tipiche, un buon lavoro di chitarre (Roy Montgomery), ma alla lunga un po' troppo letargico. Indicato generalmente come una pietra angolare del genere, mi lascia abbastanza disinteressato. 6,5/10
Grifters - So Happy Together (1992): D'accordo, un disco coraggioso e pieno di spunti il debutto dei memphisiani, ma in prospettiva inferiore ai due successivi (soprattutto il capolavoro Crappin' you negative), cioè meno ricco di quelle trovate melodiche geniali. Qui si prediligevano i colpi di scena sonori, perdendo un po' il filo del discorso. 6,5/10
Jessamine - Another Fictionalized History (1997): Raccolta di singoli, che detta così suona strano per un gruppo ai margini come i Jessamine, a metà '90s stabili su Kranky, dediti ad una psichedelia invero letargica, semi-rumoristica, dediti alla jam e ben poco concentrati ad una visione d'insieme. In una parola, noiosi. 6/10
Cluster & Eno - Cluster & Eno (1977): Fascinosa joint-venture sulla carta, non troppo riuscita nella pratica. 9 vignette brevi e mixed feelings, dall'ambient al minimalismo, in una veste non molto omogenea. Autoreferenziale nonostante i suoni siano fantastici. 6,5/10
Daniele Patucchi - Man from deep river (1972): Il refrain principale è da manuale come si conviene ad un nostro purosangue di razza della soundtrack, mai abbastanza citato nelle cronache. Peccato che venga ricoperto di dialoghi e riprese che lo rendono un documento fine a sè stesso, forse per mancanza di qualcosa di più ufficiale. 6,5/10
Great Saunites - Brown (2018): Disco confusionario, troppo preso dalla smania di svariare nel suo minimalismo e citazionismo e situazionismo che non porta un granchè in là. Questa deriva intellettuale che hanno imboccato i GS non mi sfagiola. 6/10
Red Stars Theory - But sleep came slowly (1997): Se esistesse un sensore che indica la percentuale di Novantaesimo in un disco, questo direi si assesterebbe al 99%. Buon indie-emo-slowcore, diciamo fra Rex, Joan Of Arc e Modest Mouse, forse mancano un po' i colpi compositivi. 6,5/10
American Football - American Football (LP2) (2016): Per quanto sia formalmente impeccabile, suonato da dio e gradevole, non riesco ad impazzire per il ritorno dei numi tutelari dell'emo-soft (perchè soft è, sfido chiunque). Cantilene tortuose, intarsi di chitarre complicati quanto leggeri, voce un po' fastidiosa nel suo inerpicarsi. Torpore sommario. 6/10
Brian Case - Plays Paradise Artificial (2018): Il mitico BC gioca a fare il tenebroso crooner elettronico, come se volesse dare una sua interpretazione glaciale dei Suicide. Non mancano buoni momenti ma l'impressione è che si sia dato ad un esercizio di stile che non è proprio nelle sue corde. Ma una reunion dei 90DM, no? 6/10
Guru Guru - Kanguru (1972): Meglio del precedente Hinten ma ancora nulla di fronte a quell'UFO con cui bombardarono la terra un paio d'anni prima. Senza quegli sballi, GG era un power-trio muscolare di space-blues sul pezzo ed avvicente, ma il fattore sorpresa era definitivamente bruciato. 6,5/10
Mount Eerie - Now Only (2018): Col lutto che ha subito, a Phil Elvrum si perdona tutto, anche un disco svanito, monotono e privo di impennate come questo, che peraltro soffre di una verbosità eccessiva, diciamo grossomodo il morbo dell'ultimo Mark Kozelek. Contagio? 6/10