Ti sarò per sempre grato, fratello mio, per avermi regalato quella serata fantastica ed indimenticabile, esattamente 25 anni fa.
Comodamente seduti in quelle poltrone, in religioso silenzio a rimirare questo grande artista, nudo con le sue canzoni.
Ti ricordi?
Setlist:
The Boy With The Gun
Red Guitar
Brilliant Trees
Jean The Birdman
Weathered Wall
Before The Bullfight
September
Ingrid’s Wheels
Maria/Rain Tree Crow
Orpheus
Every Colour You Are
Waterfront
Let The Happiness In
It’ll Never Happen Again
I Do Nothing
Damage
Ghosts
Blackwater
The First Day
Earthbound
Pulling Punches
Un inno immortale al dark psichedelico dei grandissimi, meteorici californiani, apertura di quel monolite che fu Dancing to restore an eclipsed moon. La fusione rovente fra i Cure della trilogia gotica (il basso in flanger) ed i Pink Floyd di Ummagumma (i rombi galattici della chitarra), completata da una voce, quella di Faircloth, tecnicamente non impeccabile ma molto originale nella sua declinazione, ed una batteria apocalittica, magnificamente registrata.
Il titolo doppio è dovuto alla struttura: Exorcism, lunga intro per maelstrom chitarristico, scampanellii e piatti in libertà. Si è già immersi in una lava devastante quando entra possente il giro concentrico della batteria, e la quadra si raggiunge con l'entrata del giro di basso. E' sempre un brivido, anche al trecentesimo ascolto, per uno dei dischi meglio prodotti dell'intera decade. Waiting for the sun è l'atterraggio perfetto, con il chorus che trova nel riff compatto della sei corde il suo apice emotivo. Finiti gli aggettivi.
Lo scorso Marzo Jeff Martin ha creato una pagina parallela a quella Idaho, mettendo in streaming un autentica bazza di inediti, live e musiche di servizio su cui tornerò approfonditamente su TM prima o poi. Darko, descritta come un demo di We Were Young And Needed The Money, e quindi con ogni probabilità registrata nel 2001/2002, è uno dei massimi momenti della maxi-raccolta Shielded from the glances, composta da ben 42 (!) pezzi fra b-sides, sparsità varie ed inediti assoluti. Trattasi di una dolentissima ballad per voce emotiva, piano tintinnante e timpani, con qualche fendente chitarristico (presumo di John Barry, dato lo stile puntuto). Un autentico gioiello di spleen, che si va ad aggiungere al mio repertorio di maggior gradimento di tutta la storia Idaho.
Un altra situazione slow-core di immane brillantezza, forse l'ultima vera della loro carriera, su The Red Thread, ma con l'eccezione importante di avere la beat-box al posto della batteria umana. Specchio quasi inevitabile di quello che forse è il pezzo più spettrale di tutto il loro repertorio, con un testo abbastanza contenuto in cui Aidan parla di nostalgia infantile alternata alla proverbiale bevuta. La magnetica tessitura di Malcolm più intricata della media, niente basso (almeno a corde), insomma un arrangiamento piuttosto scarno e sotto le righe, con un unica variazione compositiva in un breve chorus strumentale, col beat in lieve lieve accelerazione e la chitarra che si fa galattica, prima di re-implodere nel motivo principale. Dopo due giri così, il rombo finale di Malcolm ed il tipico sgocciolio pianistico di Aidan, forse il più memorabile, con quelle piccole note impressionistiche, in lieve dissonanza.
Volendo individuare un pugno di pezzi slow-core nel loro repertorio, in termini di bassezza di bpm, direi The Long Tips, Pyjamas, Aries The Ram, The long Sea, Glue, ma si tratta sempre di declinazioni uniche. Paradossalmente, di questo ipotetico contenitore, Autumnal è il più canonico; i Codeine di White Birch con flebo inserita in vena, oppure gli Slint di Washer in modalità ultra-umile e dimessa.
Sette minuti e mezzo di malinconia cosmica, resa con un tocco quasi cameristico; protagonista il cello di Cora Bissett nel chorus, ma anche i magistrali tintinii di pianoforte conferiscono un enfasi ed un eleganza fino a quel momento mai sentita, come se avessero voluto rilanciare la raffinatezza di Philophobia con gli interessi.
Dopo una lunga intro chitarristica in punta di plettro, le spazzole di Aidan toccano il rullante con sapienza. Un'altra prestazione unsung del vocalist ai tamburi, resa con una pertinenza inaudita ed incredibilmente funzionale allo svolgimento del pezzo, che ha una struttura piuttosto convenzionale: intro, strofa, chorus, bridge, strofa, chorus. Ad un minuto e mezzo dalla fine quest'ultimo si arroventa e si tramuta in un finale chiassoso, con la Bissett in libera uscita, Malcolm in delirio ultra-elettrico, Aidan a picchiare fortissimo sui piatti. Proprio per questa tipologia di struttura, il parallelo con Washer si fa inevitabile, ma la sua bellezza intrinseca resta inconfutabile.
Di fronte a questa architettura così intensamente malinconica, le liriche di Aidan, bofonchiate con la proverbiale trasandatezza del periodo, stridono aspramente; trattasi di uno dei suoi più intensi testi d'amore (come la maggioranza di Elephant Shoe, il suo love album per antonomasia), in cui si trastulla ad immaginare un futuro di fuga con la compagna, ad abitare una casa sul mare del Nord, ad arredarla, a pitturare la cucina, a scegliere il materasso, incontrare i vecchi amici ai funerali e fare finta che sono mancati....e stabilire i nomi dei nascituri.
Fu il primo pezzo che li vidi eseguire dal vivo, ad Urbino nell'Agosto del 1999. Uno degli highlights di Elephant Shoe, il mio album preferito degli Straps, non soltanto per la sua bellezza intrinseca, quanto per il fatto che funge da perfetto intermezzo a metà di una scaletta concentrata sui toni più dimessi dell'intero catalogo, incastrata fra il fascinoso beat notturno di Leave the day free e la stupefacente atmo-bossa di Tanned. Interamente umana, Direction svetta con tutta la sua potenza abbagliante, con la classica brillante ragnatela di MM, con gli stop and go solenni, i preziosi inserimenti di organo durante il bridge strumentale, la progressione satura fino al climax e la sfumatura finale col piano sparso e tintinnante. Ed una delle migliori prestazioni alla batteria di AM, in una parola: risoluta. In una recensione dell'epoca, non ricordo scritta da chi, venne descritta Nick Cave in preda alle convulsioni, forse una definizione un po' esagerata, ma in effetti l'australiano più sporco ed efferato potrebbe essere l'unica pietra di paragone, se proprio proprio proprio ne volessimo trovare una.
Dal vivo, eseguita dal quartetto classico dell'epoca con Gow e Miller, perdeva qualcosa. Nel bridge MM azionava il pedale del distorsore suonando il riff a tutto volume per sostituire sia la sua tessitura di sostegno che l'organo (AM avrebbe potuto buttarla, una mano sulla tastiera per fare quei due accordi scarni ma così preziosi....), ma la magia dello studio in parte si dissolveva per favorire l'aspetto più crudo ed asciutto del brano. Non a caso, dopo i tour del 1999 venne messa in naftalina e mi risulta che non l'abbiano mai più eseguita.
Con la recente diffusione dell'AS Archive su Bandcamp, ne abbiamo guadagnato una tipica rendition, tratta dall'abortito live album Mitchell Theatre.
Per oltre vent'anni, la mia Girls Of Summer è stata quella di Mad For Sadness, con la sua durata di oltre 8 minuti, e poi ripubblicata in altre versioni nel cofanetto postumo Scenes of a sexual nature (10:22) e nella ristampa deluxe di Philophobia. Uno dei massimi climax dei concerti degli AS per lungo tempo, una girandola di emozioni che culmina nella fase techno inserita prima del rallentamento finale. Immensamente più veloce, energetica e fragorosa della sua versione originale, che scoprii in seguito quando acquistai l'EP omonimo, uscito nel 1997, ovviamente su Chemikal. Non mi disse un granchè e credo di averla archiviata dopo un paio di ascolti al massimo. Non reggeva proprio il confronto, come in altri casi in cui sul palco M&M trasfiguravano i loro pezzi dandogli una vita letteralmente nuova (Blood, Phone me tomorrow, One day after school).
Oggi, in piena sbornia AS post-Archive su Bandcamp, una bazza piovutami fra capo e collo in grado di riprendere una passione che non accenna a passare col tempo, ripassando il repertorio da cima a fondo, avviene in me una clamorosa rivalutazione di questo originale in studio, della durata di 6 minuti esatti. Appare quantomeno curioso che su YT non sia stata caricata da nessuno, segno che forse si tratta di un episodio un po' dimenticato. A mio parere, si rivela essere un gioiello di rarefazione, di arrendevole pigrizia affine per certi versi a Coming Down, Deeper e Trippy, come esse contenente piccole particelle di Dna Slintiano (innegabile influenza, anche se fosse stata involontaria, ma AM ha espressamente dichiarato di amare tantissimo Spiderland). Il monologo di AM è di quelli tipici del periodo, da hangover ormonale e filosofia spiccia ma poetica. Retta da un riff di basso portante, su cui MM disegna fioretti semi-dissonanti di elettrica, trova secondo me un valore aggiunto nella batteria, registrata divinamente come sempre, accarezzata sul rullante e sui piatti da spazzole regolari e saldamente impugnate. Non ci sono conferme scritte nè orali che sia stata opera di AM, ma come nella maggior parte del loro repertorio sembrerebbe scontato concludere che sia stato lui a registrare le parti di batteria umana. D'altra parte iniziò come tale nei Bay, e non ci sono motivi per pensare che non abbia continuato a suonarla in studio negli anni. In questa sbornia, sono particolarmente affascinato ed attento come non mai alle "sue" performances e ritengo che siano tutte di grande gusto ed effetto scenico. Lo definirei uno di quei musicisti non-virtuosi, quasi nascosti ma altamente funzionali nonchè capaci di ricreare un proprio linguaggio, anche nelle esecuzioni più semplici e lineari.
Tornando a GOS, lo schema iniziale si ferma, riparte con un tamburellare frenetico sul rullante, MM sovrappone le sue classiche frasine atmosferiche e fa decollare la sezione fino ad azionare il distorsore. Il crescendo sfuma, ed il breve finale dolente e smorzato appare come una delle parti più slintiane in assoluto del loro repertorio.
Sembra non irreale pensare che l'AS Archive verrà ampliato in futuro (se poi ci fosse un secondo lockdown in autunno-inverno, diventerà probabile!); a questo punto, direi che una delle più da me desiderate diventerebbe una fedele versione live, in stile slacker, proprio come questa. Chissà se l'hanno mai fatta. Mai dire mai, con questi due.
Zoogz Rift - Ipecac (1987): Troppi, troppi dischi concentrati in poco tempo (nel 1987 ben 4!) per poter mantenere una media alta. Il technic-weird di ZR aveva tutto il senso possibile del mondo, ma questo disco appare un po' slegato e molto meno ispirato di Nonentity e i 2 Water, coevi. 6,5/10
45 Grave - Sleep In Safety (1983): Taggato come death-rock da BU, un genere abbastanza incerto (ok per il primo Christian Death, il resto non so). Una specie di punk-hard-rock stradaiolo ben suonato, con qualche variazione interessante. Ma tutto terribilmente datato, ben più degli anni che ha. 6/10 White Heaven - Strange Bedfellow (1993): Seguito poco convincente del grande Out, di due anni prima. Gli hard-psychers giapponesi insistevano sul canovaccio Blue Cheer vs. Doors con poco smalto, oppure semplicemente con pezzi inferiori del precedente. Gradevole comunque. 6,5/10 Uboa - Coma Wall EP (2015) + Hook Echo EP (2017); Due interessanti Ep lunghi di un trans australiano. Coma Wall sembra la trasposizione black/doom di Weld di Neil Young, mentre Hook Echo gioca al gotico di Aidan Baker con mano incerta e gentile. Alla lunga, riducendo i minutaggi, ne sarebbe uscito un ottimo album. Progetto da riprendere, comunque. 6,5/10 Violenti Lune Elettriche - V.L.E. 2 (1992): L'amico Fabio D. ha un po' esagerato. Se il nome VLE non era emerso in quegli anni, un motivo di fondo c'era; hard-rock davvero tamarro, di bassa lega, che oltretutto ai tempi avrebbe anche avuto un fondamento in un contesto di revival, ma riascoltato oggi non ha proprio senso. 4,5/10