Wolfgang Dauner Quintet - The oimels (1969): Pianista tedesco autore di un jazz-lounge-bossa con qualche sparsa deviazione ironica-farsesca, tipo la cover dei Bitolz. Diciamo che pur non essendo propriamente la mia cup of tea, a tratti è piacevole e quasi divertente. 6/10
Emtidi - Saat (1972): Progressive folk dalle leggere venature psichedeliche, quasi come una versione europea di Grace Slick e Marty Balin in un duo semi-acustico, cantante inglese e polistrumentista tedesco. L'impressione è che le loro buone doti si siano disperse in un calderone un po' troppo ambizioso e dispersivo. 6/10
Rush - 2112 (1976): Ho apprezzato un paio di dischi dei Rush a cavallo del 1980, ma questo mi sembra a dir poco pedante. Non trovo altri aggettivi per descrivere questo hard-prog tecnico e piacione che contiene momenti piacevoli a iosa, ma alla lunga finisce per stancare a causa di un narcisismo, per appunto, pedante. 6/10
Other Half - The Other Half aka mr. pharmacist (1968): Garage-rock di matrice Nuggets, con un giovane Randy Holden pre-Blue Cheer, indubbiamente grintoso e rotolante, ma decisamente invecchiato un po' come tutto il genere. De Gustibus. 6/10
Analogy - Analogy (1972): Lo chiamano progressive, ma io ce ne trovo abbastanza poco. Una vocalist possente su una base piuttosto scontata, col predominio di un organo che alla fine del disco ti fa odiare quel suono. 5/10
Helios - Domicile (2020): Già con Veriditas Keith Kenniff aveva trasformato Helios in un unità spazio-cosmico, ancora di spessore. Domicile getta la maschera, con un vaporoso ambient privo di dinamiche, quasi come un Basinski con velleità emotive. Prima vera delusione, ma dopo 15 anni gliela si può anche perdonare. 6/10
Horse Lords - Interventions (2016): Elettro-rock sincopato, funkeggiante, in cui gli strumenti classici vengono macchinati fino al punto di non avere quasi più sembianze umane. Vengono tirati in ballo nientemento che i Can per riferirsi, e certi spunti sono davvero pregevoli, ma l'effetto tediante è un insidia più che tangibile. 6,5/10
Nico - Camera Obscura (1985): Nemmeno la diva tedesca riuscì ad affrancarsi dalle sonorità modaiole a metà '80, seppur sempre immerse nella sua tipica atmosfera angosciosa e marziale. Tuttavia, era una Nico poco ispirata e poco a suo agio in questa nebbia hauntologica, ed il disco appare confuso e disorientato, con ben pochi momenti da ricordare. 6/10
Madrugada - Industrial Silence (1999): Al primo disco, il gruppo norvegese declamava il suo indie-maudit-rock con fare sornione e carismatico, aperto discepolo di Nick Cave ma declinato in una modalità accattivante ed a tratti blueseggiante. Peccato che il talento latitasse per gran parte del disco, ed allora si pensò che fosse acerbità. Qualcosa di meglio poi l'hanno fatto, ma se sono rimasti un'entità per pochi un motivo ci sarà stato. 6/10
Julianna Barwick - Nepenthe (2013): Non replicata la magia della Magic Hour di due anni prima, per quella che definirei una sindrome alla Message To Bears: l'eccessiva cura, la visione della luce, una rivelazione in maggiore che banalizza un po' quanto di buono era stato brevettato in precedenza. In ogni caso, un bell'ascolto, per carità. 6,5/10
June Of 44 - Revisionist - Adaptations.... (2020): Saluto con entusiasmo il ritorno, se di questo si tratta, dei June of '44, ma rimando il giudizio completo ad un eventuale nuovo disco. Per il momento, una rielaborazione di alcuni pezzi del loro ultimo repertorio prima dello split, cioè quello meno entusiasmante, un paio di remix passabili ed un inedito. Riscaldamento? 6,5/10
Visible Cloaks - Reassemblage (2017): Sbandierata come nuova frontiera dell'ambient elettronico, un duo canadese che assembla micro-sinfonie certosine a base di sonorità simil-giapponesi molto hauntologiche, e non saprei se il mio solito interrogativo dev'essere: sono troppo vecchio io per queste nuove frontiere o è iper-modernariato di cui mi sfugge il senso? 6,5/10
Rosa Mota - Bionic (1996): Dopo l'indimenticabile esordio Wishful Sinking, i Rosa Mota andarono nel pallone, persero la loro profondità spleen e pensarono di poter sfondare diventando i nuovi Pixies, senza avere il talento melodico di Frank Black nè le velleità produttive. Fu un triste addio, confusionario e sfocato, senza un filo logico. 5,5/10