domenica 28 febbraio 2021

Scarti da TM #59


Television - Marquee Moon (1977): Arieccoci con un bel bestemmione di quelli che incendiano l'aria: Marquee Moon è un disco vecchio che porta male tutti i suoi anni, con una produzione sgonfissima, e sorpresa, neanche irresistibile nelle sue composizioni così banalmente sixties. Esclusa la title-track, che ovviamente è un bel viaggio e porta alla sufficienza. E' grossa? 6,5/10

Dalis Car ‎- The Waking Hour (1984): Due protagonisti della gloriosa new-wave che si lasciano crogiolare nelle loro stesse vanità. Karn confeziona temi esotico-plastici di sofisticazione monotona, Murphy esaspera le sue mono-corde senza troppa convinzione, come a dover fare il compitino. Una gran noia. Giusto lasciar perdere. 5/10

Ultravox! - Ultravox! (1977): Debutto incisivo, ma a mio parere inferiore ad Ha Ha Ha. Qualche ghirigoro di troppo, d'altra parte ho sempre pensato che fossero migliori nelle parti più grintose. Ma sono dettagli. 7/10

Global Communication ‎- Incidental Harmony EP (1994): 20 minuti coevi del grandissimo 76:14, dentro al quale avrebbero comunque rappresentato episodi minori. Sottofondo pleonastico, con ritmi discreti e poche progressioni armoniche, neanche irresistibili. 6,5/10

Melvins - Prick (1994): Il cosiddetto disco d'avanguardia dei Melvins,  inteso come valvola di sfogo dagli oneri di essere su major del periodo. I momenti inebrianti non mancano, ma l'impressione che sia nient'altro che uno scherzo è troppo tangibile. 6/10

Palace Brothers - There Is No-One What Will Take Care of You (1993): Il primo di Will Oldham, in versione pulita con band completa, lo stile personale già definito per quanto troppo ortodosso per spiccare in senso lato. Ci metterà poco, 1/2 anni, a farsi notare anche da chi, all'epoca, vedeva il country come il fumo negli occhi (me compreso). 6/10

Dark Sarcasm - Lego Facilities EP (1992): Hardcore colorito su Gravity, un po' primi Bad Brains ma proditoriamente crossoverato in bianco. Fu il primo gruppo di Pall Jenkins, e sentirlo gridare così come un ossesso fa un effetto curioso. La registrazione infame spegne la voglia di riascoltarlo, peccato. 6/10

Stooges ‎- Live At Goose Lake August 8th, 1970: Per il mezzo secolo di Funhouse, sulla carta una prodezza; sentire come potevano essere sul palco. In realtà, una sonorissima presa in giro, delusione cocente è dir poco: la sezione ritmica suona fuori sincrono, con Alexander in coma prodondo e Scott Asheton in trip megalomaniaco. Non basta un buon Iggy ed un Ron Asheton in forma per salvare il disastro. 4,5/10

Japan - Obscure Alternatives (1978): Non credo fosse David Sylvian a guidare i primi Japan, ma una sua trasposizione giovanile arrogante e posseduta da un brutto demone. Per fortuna che trovarono la bussola in poco tempo. 5,5/10

Nadja - Erós (1985): No, non è Aidan Baker da bambino. Erano un quartetto ligure di dark-wave che fece un paio di cassettine e poi si riunì in anni recenti per delle rivisitazioni particolari. La storia è sempre la stessa: se c'era qualcosa che meritava e non è uscito alla ribalta nel giro di pochi anni, un motivo c'era. Mai fidarsi di paolobertoni. 5,5/10

Ghostpoet ‎- Some Say I So I Say Light (2013): Buon secondo per lui, un paio d'anni prima del rivelatorio Shedding Skin. Un po' ipnotico trip-hop, un po' cicaleccio generico, un po' didascalico e ripetitivo, con le liriche forse troppo centrali. 6,5/10

Malcolm Middleton - A Quarter Past Shite (2011): Raccolta di demos casalinghi per MM, a suo dire alcuni addirittura datati 1994. Come sempre: se sono rimasti nel cassetto, un motivo c'era, ed infatti se ne ricordano 2 su 18, un po' poco per una srotolata di pezzi voce e chitarra acustica e nient'altro, che non fanno nulla per mescolare le carte in tavola. 5/10

Hypnodrone Ensemble - s/t (2014): Aidan Baker con un altro chitarrista e 3-tre-3 batteristi, un progetto impro. Una suite di 40 minuti, che inizia con nebulose ambient in stile e poi dilaga tempestosa quando entrano le batterie. Un maelstrom mono-tonale di space-hypno-rock che non trova alcun significato se non quello di annoiare. 5/10

Crystalized Movements ‎- This Wideness Comes (1989): Interessante ibrido di space-punk con un chitarrista maniaco senza freni, impegnato a fare più casino possibile. Fu un incompiuta, perchè i mezzi ed il talento per fare qualcosa di peculiare c'erano, e forse sarebbe bastato un produttore lungimirante che li registrasse decentemente e sapesse porre un limite a quel folle. 6,5/10

Alberto Camerini ‎- Cenerentola E Il Pane Quotidiano (1976): Stesso problema del Finardi coevo; per quanto ben suonata, questa musica è invecchiata malissimo, alla pari delle liriche barricadere di ultra-sx che sono moderne come le piramidi. Aggravante: almeno Finardi era un songwriter d'anima, Camerini invece un chitarrista vanitoso con ben poco da dire. 4,5/10

Leo Nero - Monitor (1980): Dopo un buon primo nel 1977, Leone scendeva nel pacchiano più pacchiano che si poteva, con uno stranissimo ibrido fra beat '60 e electro-wave vagamente stradaiola. Un obbrobrio assoluto. 4/10

Mallard ‎- In A Different Climate (1976): I fuoriusciti dalla Magic Band dopo i disastri londinesi che portarono il Capitano al momento più buio della carriera. Un ordinario e raffinato country'n'blues'rhythm, con un cantante uguale a Joe Cocker ed il sentore che il 1976 sia stato musicalmente il peggior anno degli ultimi 60. 5/10

Splintered - Parapraxis (1992): UK-Noise-rock approssimativo, dozzinale e pestato duro, con una batteria dal suono orribile. In teoria volevano essere una versione zavorrata dei Godflesh, oppure una grezza degli Skullflower, ma il disco è tirato troppo per le lunghe, nonostante qualche buona trovata sparsa. 5,5/10

Harold Budd & Cocteau Twins - The Moon And The Melodies (1986): Più che uno split vero e proprio, un disco dei CT con 2 pezzi ambient di HB infilati posticci, e ben poco sentore di reale interazione compositiva. Gradevole nel complesso, ma poco esaltante viste le premesse. 6/10

Aidan Baker ‎- Lost In The Rat Maze (2011): Una sorta di mutazione spazio-temporale dei Flying Saucer Attack, per un disco che sulle intenzioni sarebbe stato notevole, ma si perse nella sua eccessiva lunghezza. Fosse durato la metà, parleremmo di uno dei migliori dischi di Baker (questa è grossa). 6,5/10

Make Up - Destination Love; Live! At Cold Rice (1996): Live che in teoria avrebbe dovuto esaltare le loro doti sul palco, ma in realtà finisce per l'essere un po' sgonfio. Certo le acrobazie di Ian Svenonius sono sempre un piacere, ma si scopre che il trio di supporto è tecnicamente povero e senza il supporto dello studio non rende giustizia al divertimento sprigionato. 6/10

National - I Am Easy To Find (2019): Imperterriti, forti della loro unità, con le varianti possibili (ottima la scelta delle voci femminili, qualche stravaganza ritmica un po' meno), insomma i National sono sempre loro ed avrebbero sfornato l'ennesima eccellenza se avessero tagliato la durata di un 25/30%. Sedici pezzi sono troppi, ed i minori un po' troppo deboli. Peccato perchè pezzi come Oblivions sanno ancora mettere i brividi addosso. 6,5/10

Blonde Redhead ‎- Barragán (2014): Sarei voluto andare controcorrente, come mi piace spesso fare, e dire che i BR stanno vivendo una dignitosa mezza età, ed invece mi tocca assecondare il coro. Nel tentativo di reinventarsi, appannati, inconcludenti e volutamente kitsch, deludono qui soprattutto nella sconcertante prima metà. Quando lo spessore si rialza, però, è troppo tardi per recuperare. 5/10

Enzo Carella - Sfinge (1981): Alla prova del 9 del successo, Carella sceglieva il compromesso; non si svendeva e non si evolveva. Semmai, si piegava alle tendenze sia artistiche che produttive con un funk-pop lambiccato e poco incisivo. Manco a dirlo, furono le supreme liriche del Dio Panella a rivoltare la frittata in positivo. La media faceva 6,5/10

Bruce Springsteen - The River (1980): C'ho provato, e ne sono felice (si fa per dire, 30 secondi di ogni pezzo e poi skip). Morale: ho cancellato la cartella dal mio archivio HD, una cosa che sarà successa sì e no 2/3 altre volte nella vita. Non voglio mancare di rispetto a nessun artista ed a nessun fan. s.v.

Can - Future Days And Past Nights (Live 1975): Un live in bassa fedeltà, testimone di un periodo ancora positivo ma limitato, sul palco, dall'assenza di Suzuki. Doveva essere un'esperienza davvero sensoriale, ma come ascolto fine a sè stesso resta solo un buon sottofondo della loro destrezza, senza scossoni. 6,5/10

Seirom - Slow Waves (2018): Non è un caso se i primi 2 eccellenti dischi sono stati stampati e gli ultimi 2 invece sono usciti soltanto in download su Bandcamp. De Jong deve aver perso l'ispirazione per Seirom, ancor più vaporizzato in una nebbia new-age-core-gaze senza nerbo, senza impennate e monolitica. 5/10

Arthur Russell ‎- Sketches For World Of Echo - June 25 1984 Live At Ei: Dal pozzo senza fondo, una specie di live privato che contiene i semi del (unico) capolavoro di Russell. Solo violoncello elettrificato, fuzzato, e voce. Si sente l'ispirazione, ma di fatto fu una jam session in solitaria, che inizia bene e poi annoia sempre più man mano che prosegue. Valeva la pena? 6/10

Swell Maps ‎- Whatever Happens Next (1981): Antologia di demos casalinghi precedenti il primo storico album, sciorinata subito dopo lo split. Livelli quasi feticistici, vista la qualità audio infame delle registrazioni. La genialità c'era già, ma sarebbe stato sufficiente farlo singolo, non doppio, tagliando quelle nefandezze che sono i pezzi oltre i 10 minuti. 5,5/10