venerdì 30 aprile 2021

Scarti da TM #61


Fluxus - Pura Lana Vergine (1998): Ai tempi del loro primo, nel 1995, li vidi suonare all'Ex-Machina ed ero impallinato per gli Helmet. A distanza di oltre 20 anni, questo alternative-hardcore-noise mostra tutto il  suo invecchiamento e la sua limitatezza d'espressione, ma all'epoca fece un po' sensazione. Questo fu il loro secondo e la sua monodimensionalità è impietosa. 5/10

Nik Turner ‎- Prophets Of Time (1994): Il pifferaio matto degli Hawkwind con una squadra assortita che incluse anche Helios Creed, in verità poco presente. Il disco è un ginepraio sci-fi-space-electro-rock che alterna tirate acide a sballi cosmici ad intermezzi folk, e non sarebbe stato neanche malaccio se non fosse stato per la produzione, orribile sulle batterie e sulle tastiere. 6/10

Voo-Doo Church - Voo-Doo Church EP (1982): Brevissimo EP di goth-punk di media levatura, come una versione grezza e cruda dei primi Christian Death, ma con maggiore immediatezza ed un cantante dalla voce adolescenziale. Curiosamente resterà isolato per oltre 20 anni. 6,5/10

Mogwai - As The Love Continues (2021): La mia personale teoria che ormai vadano bene nelle colonne sonore trova un riscontro nell'ennesimo album di inediti, che mi sforzo di apprezzare per quello che è; un buono ed onesto replicante di tanto passato glorioso, in varianti che raramente fanno drizzare le orecchie. 6,5/10

Luc Ferrari - Presque Rien (Recordings 1967-1989): Spesso paragonato a Pierre Henry. Nella mia ignoranza di avanguardia storica, il confronto non regge con la sua imponenza. I suoni sono interessanti ma la collezione è troppo lunga per tenere desta l'attenzione e la componente aleatoria sembra troppo espansa per esprimere una coesione d'intenti. 6,5/10

Albrecht-d. & Joseph Beuys ‎- Performance At The ICA London 1.Nov.1974: Una sorta di rito tribale per tablas, campanelli e voce da untore/stregone che recita delle formule magiche. Doveva essere di una noia mortale assistere, figuriamoci ascoltarlo. Scherzi della List. 4/10

New Phonic Art 1973 - Free Improvisation (1974): Per la serie Scatenatevi Bestie, un campionario di free-jazz a dir poco imprendibile, ma senza batteria e quindi, a mio parere di ignorante, poco dinamico. 5/10

Cure - Music For Dreams (1992): Bootleg ultra-feticista per maniaci che include una 15ina di strumentali, a detta di un fan-club, di demos, di prove per soundcheck, di spunti che non ce l'hanno fatta ad arrivare allo stadio definitivo, ed alcuni già pubblicati come b-sides, grosso modo del periodo 1989-1992. Le cose belle non mancano, ma neanche le passabili. 6,5/10

James White & The Blacks ‎- Sax Maniac (1982): Grande assembramento di musicisti con le palle per il disco satin-funk di James Chance, un po' patinato ma dallo stile ruvido ed istrionico tipico del personaggio. Difetti: troppo allungati i brani, poca varietà. 6,5/10

Antlers - Green To Gold (2021): 7 anni dallo splendido Familiars sono tanti e c'era da insospettirsi, forse. Il prezioso poli-trombettiere Cicci non c'è più e se ne sente la mancanza. Silberman ha perso quel furore artistico e se ne esce con un disco soporifero, a tratti svenevole nelle sue nenie estatiche che non hanno più il tocco magico di un tempo. Peccato. 6,5/10

Fugazi - 1999 Instrument: Colonna sonora di un documentario a loro dedicati, all'epoca fece un po' storcere il naso, nonostante la natura laterale. Suona come un cazzeggio, fra demos e prove, ed ha inaspettate derive cantautoriali/post-rock. Dei Fugazi diversi, se vogliamo; a me è sempre piaciuto, ma con le dovute considerazioni. 6,5/10

Sophia - Holding On - Letting Go (2020): Vivacchia di rendita, il buon vecchio Robin, da ormai più di un decennio. L'ispirazione di un tempo è bella andata, ma ciò non toglie che questo sia più che dignitoso, con qualche discutibile puntata alt-new-wave e le cose belle nelle ballad elettriche che restano il suo fortino. Non si parla mai male di un eroe, in fondo. 6,5/10

Message To Bears - Constants (2019): Quasi nessuna novità nell'ultimo MTB; suoni ovattati, beats moderatamente sincopati in un tappeto onirico-celestiale ed il sentore di già sentito che sì, è sempre gradevole, ma i fasti di Departures sembrano già preistoria. Perlomeno questo è un filo meglio del precedente. 6,5/10

Chameleons ‎- Why Call It Anything (2001): L'isolata reunion della line-up originale, oltre a generare nuovi ed insanabili scazzi fra Burgess e gli altri, non andò oltre un disco in cui la freschezza originaria era ormai persa, fra sensazionalismi forzati e melodismi eccessivi. Non mancano un paio di prodezze ed il revival era alle porte, ma quando non deve andare non va. 6/10

Current 93 ‎- The Stars On Their Horsies (2018): Uno degli innumerevoli intermezzi laterali di Tibet. Concept di 40 minuti su un paio di incubi annotati al risveglio, collage allucinato e per sua natura molto poco coeso. Inizia discretamente ma poi si fonde come neve al sole. 5,5/10

Velvet Underground - White Light - White Heat (1968): Seminali quanto vi pare, questo è indiscutibile. Ma qui mancava la classe di Nico, la compiutezza delle composizioni e l'eroina evidentemente la faceva da padrone. Diciamo che è stato il loro disco minimalista, ed era giusto che lo fosse. 6,5/10