mercoledì 30 novembre 2022

Scarti da TM #80


Mathians ‎- Mathians Vol. 1 (2020): Ricordo una review entusiastica su Blow Up, che forse parlava di doom d'avanguardia, sperimentale. Si tratta di registrazioni curiosamente di un decennio prima dell'uscita da parte di un gruppo italiano poi dissoltosi. E non è poi tutta questa avanguardia, è uno sludge-doom dalle parti degli Electric Wizard con qualche inserto interessante, fatto bene, registrato benissimo, ma nulla per cui gasarsi. 6/10

Marlene Kuntz - Io Sono Vera (2022): Sono molti anni ormai che non ascolto più i Marlene, o che non li ascolto con attenzione, nonostante abbia sempre grande stima e rispetto per la loro storicità. La cosa della colonna sonora mi incuriosiva, ma non regala nessuna sorpresa, anzi solo scontate sonorità post-rock e qualche ballad agreste senza nerbo. E' una di quelle soundtrack che da sole non stanno molto in piedi. 5,5/10

Anathema - A Natural Disaster (2003): Una metamorfosi quasi kafkiana, quella degli inglesi. Dal doom gutturale all'emo-progressivo del disco del 2014 che ho apprezzato, nel mezzo possono esserci state tante cose, e non dev'essere stato facile. Questo infatti fu un pastone di tante cose, tanto barocco, tanta passione ed enfasi, tanto talento sprecato. Estenuante e fuori fuoco. 5/10

Alvvays - Blue Rev (2022): Quello che è uno dei gruppi più hyped in questo periodo a mio avviso è molto overrated. Un indie-pop con qualche venatura wave, una cantante con un bel timbro ma inesorabilmente monodimensionale, 14 pezzi che alla fine te ne restano in mente un paio. A tagliare il disco a metà ne sarebbe venuto un più che buon EP.  6/10

Zoogz Rift ‎- Torment (1989): Troppi, troppi dischi fece ZR nella seconda metà degli '80. Certo la maggior parte furono buoni se non eccellenti, ma fu un rilascio eccessivo, considerando i tempi poi. Questo non è certo cattivo e la classe è sempre limpida, ma sembra un rimasticamento dei precedenti. 6,5/10

Friendsound - Joyride (1969): Collettivo statunitense dedito ad una psichedelia free-form, con dei passaggi interessanti fra Amon Duul II e addirittura i Pink Floyd coevi, ma sconclusionato ed evidentemente fatto in fretta e furia e con una certa sciatteria. Un'occasione persa, e anche grossa. 6/10

Bell Gardens - Full Sundown Assembly (2012): Gibson dei Furry Things + McBride degli Stars Of The Lid in un tripudio coloratissimo di vintage-chamber-pop alla Van Dyke Parks o giù di lì. Diciamo che per la maggior parte del tempo sembra prevalere il trip del primo rispetto alle atmosfere del secondo, e non è un bene. Caramello ovunque, a parte certi passaggi molto ispirati che in effetti sembrano farina del sacco di quest'ultimo. Un occasione persa. 6/10

VV.AA. - 100 Tears - A Tribute To The Cure (1997): Me li ascolto tutti i tributi ai Cure, perchè magari 1 su 100 può essere memorabile e allora vale la pena scandagliare. Questo fu fatto da una pattuglia di darkoni modaioli dell'epoca, pseudo-cloni dei NIN, che vestirono gli hits dei Cure con un'armatura cyber-punk a dir poco ridicola ed ovviamente, del tutto fuori luogo.  4,5/10

VV.AA. - Fictional - A Tribute To The Cure (1995): Questo è persino peggio, contenente riletture in chiave elettronica, ai confini con la techno-trance, qualcosa che ovviamente snatura la statura dei pezzi. 4/10

martedì 8 novembre 2022

Mimi Parker - R.I.P.


Parlare dei Low per me significa innanzitutto parlare di un rimpianto, perchè non li ho amati quanto forse avrebbero meritato. La vita è fatta anche di coincidenze musicali. Il primo pezzo che ascoltai di loro fu la cover di Transmission sul tributo ai Joy Division nel 1995, e la trovai curiosa ma nulla di più. Nel frattempo la critica lodava i loro dischi, ma quelle parole non mi conquistavano. Poi nel 2001 comprai Things we lost in fire, lo trovai gradevole ma rimasi un po' deluso. Non toccava le corde giuste della mia anima e pensai che fossero un po' sopravvalutati. Dopo ben 24 anni mi decisi ad approcciare il loro debutto e rimasi sconvolto; se l'avessi ascoltato all'epoca, sarebbero diventati dei miei eroi, una spanna sotto i Red House Painters. Poi passai al secondo, poi al terzo e conobbi il rumore dell'anima che vibrava intensamente in quelle tre opere.

E negli ultimi anni il rinnovamento, un po' forzato ma foriero di sorprese e l'attestazione di un entità che invecchia benissimo. Purtroppo invecchiava. Questi giorni Mimi Parker ci ha lasciato a soli 55 anni, e questo mio (francamente) banale rimpianto lascia spazio ad uno ben più grande: non li ho mai visti dal vivo, sicuramente mi sono perso tanto, fra cui la possibilità di farli entrare definitivamente nel mio cuore, nonostante un repertorio contrastante. La massima solidarietà umana va ad Alan, marito e compagno di una carriera artistica degna del massimo rispetto. Erano unici e lo resteranno. RIP

lunedì 31 ottobre 2022

Scarti da TM #79



Faust - Punkt. (Cd 5 1971-1974): Registrazioni del 1974 diseppellite per il box celebrativo del 2021 che ha celebrato i primi storici album. Siamo ai limiti del feticismo, anche se la lungimiranza resta inenarrabile. Sono sostanzialmente delle prove, col gruppo ai limiti dello split. Diciamo che poteva essere la genesi di un altro grande capolavoro. Non andò così. 6/10

For Against - Shelf Life (1997): Forse l'unico passo falso in carriera per i For Against, un disco jingle-jangle senza la profondità e la freschezza di Aperture, con tante melodie spleen-pop ma con un sostanziale appiattimento della proposta. 6/10

Giganti - Terra In Bocca (Poesia Di Un Delitto) (1971): Avevo dei sospetti. Un gruppo con un nome così poco esaltante, che rievocava l'epoca beat, ma autore di uno dei primi dischi prog in Italia, ed anche abbastanza celebrato, da finire in una classifica di Zuffanti. Ma non è che se c'è una tonnellata di mellotron, dei ritmi convulsi e qualche graffiata è sufficente. Qui è la vocalità a rovinare tutto, così sboccatamente ereditiera dell'epoca beat (appunto), che fa a pugni col progressive. Un disco da Circolo Arci pseudo-intellettualoide, fra l'altro registrato anche male. 5/10

David Sylvian - Playing The Schoolhouse EP (2015): Un quarto d'ora di impalpabili suoni concreti registrati in una scuola in Norvegia. Va bene tutta la concettualità ed il non ripetersi mai e lo spirito nomade e tutto il resto, ma suvvia.....questo è anche troppo. 5/10

Rhodri Davies & David Sylvian & Mark Wastell ‎- There Is No Love (2017): Mezz'ora di impalpabili suoni concreti e audio-ronzii su cui Sylvian recita un pigro monologo. Non va bene niente, perchè da Sylvian ci aspettiamo molto, ma molto di più musicale. 5/10

Helios Creed - Nugg The Transport (1996): Significativo, il primo album di HC dopo la morte di DE. Ma non cambiò un granchè; qualche sfuriata cyber-punk, qualche escursione sintetica alla Hawkwind, tanto divagare ed un po' di noia (tanta).  6/10

Steve Hillage - L (1976): Al secondo album da solista, l'ex Gong perdeva freschezza e spontaneità che avevano stupito nel Fish Rising dell'anno prima. Qualche smania da guitar-hero, una produzione un po' tronfia (Rundgren, guarda caso), atmosfere west-coastiane, incensi indiani, insomma, tanta carne al fuoco ma poco memorabile. 6/10

Japan - Assemblage (1981): I Japan sono stati uno dei gruppi più sfruttati della storia, prova ne è l'enorme numero di compilation che si sono riversate sul mercato, quasi tutte per imbrogliare la gente. La Hansa li ebbe sotto contratto per i primi 3 album e non fu da meno. Questa è la meno truffaldina, con qualche singolo extra-album. Presa per come è, non è il diavolo: il meno peggio del glam degli esordi e ben più della premessa di un radioso futuro. 6,5/10

Old Saw - Country Tropics (2021): Ohms dal deserto. Una lunga contemplazione alt-country-raga in 4 movimenti per slide e strumenti affini, giustamente descritta da PS come una versione polifonica di John Fahey. C'è un lavoro certosino dietro ma provoca tanti, tanti sbadigli. 5,5/10

Organum - Sanctus (2006): Dalla svolta ecclesiastica di David Jackman, 40 minuti di drone celestiale con una nota di piano stentorea messa a scadenza regolare. La beffa è che è divisa in 4 movimenti di uguale durata, ed all'inizio di ciascuno dei 3 successivi al primo ci si aspetta che cambi qualcosa....e invece no. Bel suono, eh, ma tanti sbadigli. 5/10

Landings - Oceanless (2001): Dallo Utah, un duo misto di veterani in giro da oltre 20 anni sulla scia dei nobili psych-shoegazers dei '90 (Flying Saucer Attack, Labradford e affini). Nonostante i suoni siano belli espansi ed ovattati come da protocollo, sono terribilmente privi di talento e la durata del disco è inconsolabilmente infinita. Se la Kranky non li ha mai presi un motivo c'è stato. 5/10

La Nòvia - Maintes Fois (2020): Ensemble folk-cameristico francese, guidato dal girondista Gourdon. L'ispirazione è chiaramente Lamonte Young, con un crescendo minimalista più che altro basato sulle stratificazioni di violino, cornamuse e chitarra elettrica. Il giudizio dipende dallo stato d'animo, ma non è detto che anni fa potesse piacermi.  6/10

venerdì 30 settembre 2022

Scarti da TM #78


Ūrok - Ūrok (2019): Noise-jazz-metal da parte di un trio di base a Londra, guidato da un batterista di nome Marco Quarantotto, che sembrerebbe uno del Triveneto ma in realtà viene dato come croato. Una mistura interessante, più sbilanciata sul metal che sul jazz, che per alcuni versi richiama i Naked City più contaminati. Qualche sbrodolatura di troppo si sarebbe potuta mondare. 6,5/10

Earth - Earth 2 - Special Low Frequency Version (1993): Va benissimo la funzione storica, l'intuizione geniale e la seminalità, ma 2 resta un mattone che mi è un po' difficile assimilare, digerire e soprattutto ascoltare tutto d'un fiato. Va bene il microscopio ed il concetto, il risultato finale meno. 6/10

Electric Wizard - Come My Fanatics (1997): Il tempo fa sempre giustizia, ed oggi lo stoner-doom degli EW non appare più quel mostro che incuteva timore 25 anni fa. Colpa sicuramente della produzione, troppo compressa e con una batteria criminalmente racchiusa, perchè il disco in sè racchiudeva i migliori luoghi comuni del genere, ma diciamocelo, la classe stava altrove. 6/10

Pedro The Lion - The Only Reason I Feel Secure (1999): Era da 20 anni o forse più che non ascoltavo PTL, da quando mi scottai per aver acquistato un suo cd che mi deluse non poco. Questo è cantautorato spleen-agreste ma anche un po' ruffianello, ad uso e consumo degli hipster dell'epoca, oggi non saprei. Certo che se è rimasto un nome di serie B/C un motivo ci sarà. 5/10

Alvaro - Drinkin My Own Sperm (1977): Pianista cileno indeciso fra latino-americana, folk-prog sbilenco e filastrocche ad altissimo tasso etilico-politico. Spicca l'ottima Palido Sol come esempio di ciò che sarebbe potuto essere con un po' più di impegno e sobrietà. Il resto è quasi tutto da farsi 2 risate. 5/10

Horrific Child - L'etrange Mr. Whinster (1976): Non-sense, psichedelia, progressive simil-Goblin, teatro, concretismo, horror (per l'appunto), tutto frullato follemente e senza costrutto da parte di un battitore libero francese, uno di quelli che è salito sul carrozzone del momento senza tanti scrupoli, così come a sprecare i buoni spunti ivi presenti per produrre un pastone inestricabile. 5,5/10

Anton Bruhin - Von Goldabfischer (1970): La prima cosa che esce googlando lo svizzero Bruhin è la qualifica "pittore". Non che fare pittura pregiudichi il fare musica, ed infatti ha proseguito parallelamente entrambe le attività. Ma questo sghembità dada-surreal-etno-folk non ha niente di geniale. E' solo una noia incontrastabile. 5/10

Tony Oxley - Tony Oxley (1975): Batterista free-jazz inglese alle prese con un'avanguardia concreta quasi interamente solista, senza disdegnare qualche puntata di gruppo in stile. Un disco molto pesante, complice forse anche la lunghezza quasi improba per sonorità di questo tipo. 6/10

Operation Rhino - Fête De Politique Hebdo Lyon 76 (1976): Free-big band-jazz francese, live e tonfante, con fiati e batteria ampiamente sopra tutto il resto, che avrebbe meritato una migliore registrazione. Un disco molto impegnativo, che osa parecchio e non sempre rosica. 6,5/10

Mahjun - Mahjun I + II (1973-74): Band francese dedita ad un interessante ibrido di dandy-rock alla Kevin Ayers, oktoberfest-core, acid-rock, hard-rock, sarabande pseudo-jazz, etc. Un po' troppo, decisamente, ma l'esuberanza collettiva è tangibile. Forse il limite più grande paradossalmente è la lunghezza perchè effettivamente sono due dischi e ci si perde in un nulla. Ma nella List è censito così, chissà perchè.... 6,5/10

mercoledì 31 agosto 2022

Scarti da TM #77


Waller Michael Vincent - Trajectories (2017): Pianista di scuola classica, compositore austero di grande stoffa, di quelli che si fanno registrare il disco da altri. Talune sonate sono assolutamente notevoli, peccato che il disco sia davvero troppo lungo per tenere desta l'attenzione, persino quando si fa accompagnare da un dolente cello. E resta il sentore di un distacco emotivo, di un formalismo eccessivo. In tal campo Anthony Saggers gli ha dato un bel po' di punti. 6,5/10

domenica 31 luglio 2022

Scarti da TM #76


Rollerball - Garlic (1997): L'esordio dei Rollerball, drammaticamente diverso dalle diverse cose belle che realizzarono da 2-3 anni dopo in poi. Trattavasi di un disco un po' involuto di sostanziale post-punk con qualche divagazione art-psych, ma di acerbità ed eccessiva diluizione. Con un'adeguata sintesi si sarebbe potuto un buon EP. 6/10

Trans Am - Surrender to the night (1997): Secondo di transizione per i TA, che ancora giovanissimi si inerpicavano verso nuovi obiettivi. L'ha scritta perfettamente PS: è un disco dal potenziale enorme e dallo stile avventuroso, ma che pecca di finalizzazione ed alla fine sembra più un catalogo delle possibilità, eccessivamente eterogeneo al punto da inficiarne la qualità generale. 6,5/10

Gargamel - Watch For The Umbles (2006): Retro-prog svedese, di sentore scuro ed apocalittico come da tradizione scandinava, dedito ad un totale recupero anche delle modalità di registrazione dei '70. Ammetto di averlo voluto provare soltanto perchè un mio vecchio gruppo si chiamava Gargamella's, e la curiosità ha preso il sopravvento, ma occorre sorvolare velocemente. In quel versante i nostrani Areknames gli davano parecchi giri. 5/10

Irata - Tower (2019): Non è che ci avessi sperato, era che una chance occorreva darla. Ma ormai gli Irata non sono neanche più lontani parenti degli art-corers dell'omonimo datato 2007. Sono un gruppo emo-metal con un cantante insopportabile che rovina delle pur dignitose, per quanto tamarre, composizioni di hard-spleen-rock che avrebbero potuto funzionare da strumentali. 5/10

Jar Moff ‎- Commercial Mouth (2013): Imponente collage electro-hypna da parte di un misterioso musicista greco di fugace apparizione sullo scenario europeo (due dischi nel 2013 e poi basta). 25 minuti di pura schizofrenia che non appartengono a nessun tag particolare, se non quello del modernariato. Un po' troppo massimalista, ma con alcuni ottimi passaggi. 6,5/10

Lou Reed - New York (1989): Potrei essere entrato in una fase globale di rivalutazione di Lurìd, anche solo concettuale. Di dischi ne ha fatti tanti, e forse da scoprire ce n'è. Questo già parte bene perchè i suoni sono belli chitarristici in un epoca in cui non era di moda. E' un po' citazionista, un po' fanfarone, alcuni pezzi sono notevoli, altri no, forse troppi. 6,5/10

King Hannah - I'm Not Sorry, I Was Just Being Me (2022): Duo misto inglese che sembra voler mutuare un incrocio fra Nick Cave, Portishead e qualcos'altro direttamente catapultato dagli anni '90. Ambizione alle stelle, purtroppo non pareggiata da altrettanto talento. Sono giovani e quindi non da buttar via ma ho il timore che non li ascolterò più. 5,5/10

giovedì 30 giugno 2022

Scarti da TM #75


William Basinski - Hymns Of Oblivion (1989-1991): Sorpresa archeologica: WB, dopo aver fatto il sassofonista a cottimo in giro per gli US, avrebbe potuto diventare un cantautore gotico-maudit, se non che il progetto fu arenato ed ascoltarlo adesso fa tenerezza. Qualche pennellata impressionistica di rilievo c'è, ma il manierismo stra-fatto ed i suoni (orribili) gli fecero capire che ci sarebbe stato da lavorare, e parecchio. La stoffa comunque non si poteva discutere. 6,5/10

Beach House - Once Twice Melody (2022): Ben venga la grandeur, l'ambizione e la voglia di progredire. E' chiaro già da qualche anno che i BH hanno sterzato, che le chitarre non sono più al centro del processo creativo, che le voci sono polifoniche, etc etc. Insomma, hanno perso quell'innocenza e quel candore dei primi 3/4 dischi, e a me dispiace tanto. E' stato un po' come passare dall'infanzia all'adolescenza, un trauma in progress, con tutto il rispetto. 6/10

VanderTop - Paris 76 (2001): Inqualificabile operazione di Jannik Top che fondò una sua etichetta e camuffò un concerto dei Magma del 1976 come VanderTop, forse soltanto perchè la scaletta comprende 2 pezzi a testa. Al di là del pasticcio, il concerto è un bootleg registrato talmente male (forse un misero microfono davanti al palco) che non si può neanche ascoltare. 4/10

Universal Congress Of ‎- Prosperous And Qualified (1988): Per la serie SST: Ginn è sempre più jazzy un disco frizzantissimo di jazz-funk blueseggiante, ispido e suonato in presa diretta, guidato da sax e chitarra in strutture contenitive ben definite. Non si parli però di jazz-punk, perchè del secondo non ha niente. Al limite erano degli ex-punks. 6,5/10

Clikatat Ikatowi - Orchestrated And Conducted By (1996): Post-emo-HC di area Gravity per una delle tante meteore di metà '90. Prodotto malissimo, con le chitarre compresse fino a diventare un grumo informe, una voce strozzata che non è nè rabbiosa nè espressiva, un peccato a confronto di una ottima sezione ritmica (alla batteria il mitico Mario Rubalcaba). In quest'area, molto meglio gli Angel Hair. 6/10

Sunny Day Real Estate - Diary (1993): Erano anomali ed ottennero visibilità, perchè non erano grunge, non erano hardcore, non erano arty, erano una band energica con un lato melodico molto accentuato ed ahimè, un cantante dall'irritante stile ultra-arrotondato che trovo insopportabile, ecco il mio problema. 5,5/10

Desertshore - Drifting Your Majesty (2010): Il primo di Carney & Connolly, all'insegna di un elegante art-alt-folk strumentale, con degli ottimi momenti e vibrazioni di intimismo molto intenso, ma anche diversi riempitivi, jams tirate troppo per le lunghe. Una maggior sintesi avrebbe giovato. Ed era già chiaro che Markone Kozelek li avrebbe fatti svoltare. 6,5/10