giovedì 28 febbraio 2019

Andy Anderson

A certe cose non ci pensi mai. In questi giorni tiene banco il lutto, molto più circolare, di Mark Hollis, che meriterebbe libri su libri anche soltanto per il suo silenzio. Poi oggi scopro che è venuto a mancare Andy Anderson e penso, diavolo, se non erro è il primo Cure a lasciare questa valle di lacrime. E' con ogni probabilità il più anziano ad aver mai militato (classe 1951), ed era stato in formazione per poco tempo, fra il 1983 e l'84. Entrò ad altezza Lovecats e fu sbattuto fuori durante un tour nell'anno successivo; pare che fosse un bevitore di grande levatura, una notte sradicò un albero (!), aggredì tutti i compagni fisicamente e si chiuse in camera, disseminato di pezzetti di corteccia. La mattina dopo venne svegliato con cautela, non fece storie quando gli venne notificato il licenziamento, e si costruì una carriera di session man di tutto rispetto, includendo Peter Gabriel e Mike Oldfield fra i più famosi.
Era evidentemente un batterista eclettico, l'ideale per la svoltina di Japanese Whispers, con quel suo stile felpato, ritagliato appositamente per Lovecats e Speak My Language, ma in grado di far gran bella figura anche su The Top, caratterizzato da tanti stili per quanto imperfetto fosse quell'album, ed in grado anche di dire la propria su Concert, che metteva in mostra uno stile potente e primitivo, grezzo ed asciutto. Poi era chiaro che qualunque batterista venisse dopo Lol Tolhurst avrebbe avuto vita facile, ma AA aveva il potenziale per ritagliarsi uno spazio duraturo alla corte di Ciccio Smith. Senonchè andò come andò, ed il suo successore Boris Williams non lo fece certo rimpiangere.
Se ne va quindi un personaggio abbastanza marginale della saga quarantennale dei Cure. RIP.

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