martedì 30 novembre 2021

Scarti da TM #68


Smudge - You Me Carpark... Now (1996): Il power-pop-trio australiano alla chiamata della conferma dell'effervescente Manilow, debutto di un paio d'anni prima. Difficile conservare quei livelli di esuberanza e brillantezza melodica, anche se qualche voglia di deviare si enumerava e la buona volontà c'era sempre. 6,5/10

Stormy Six ‎- Un Biglietto Del Tram (1975): Il disco folk-rock-barricadero degli Stormy Six, ribollente di inni proletari, di canti di protesta, di slogan partigiani e così via. Per quanto ben suonato e nobilitato dalla forma delle liriche, non può che suonare implacabilmente datato, a maggior ragione se lo si affianca al successivo L'Apprendista, tutta un'altra storia.  6/10

Flavio Giurato ‎- Il Manuale Del Cantautore (2007): Il ritorno dopo oltre 20 anni di silenzio vide un Giurato in ottima forma lirica, da sempre il suo punto forte, ed una produzione quasi lussuosa, direi mainstream, per certi versi affine al moderno De Gregori. Pregi e difetti i soliti; qualche cantilena tirata un po' per le lunghe, qualche momento molto alto. La media fa 6,5/10

Ruben Garcia ‎- Room Full Of Easels (1996): Vale più o meno la stessa cosa già detta in precedenza. Direi croce sopra. 6/10

Police - Ghost In The Machine (1981): Persa la grinta iniziale, l'entusiasmo, raggiunto l'apice possibile con Zenyatta Mondatta l'anno precedente, ai Police non restò che l'autoindulgenza, il manierismo e le buone maniere. Lo scioglimento fu la cosa più giusta, viste le smanie di successo di Sting. Ma il potenziale per migrare verso una forma arty c'erano tutte. Anni '80, eh. 5,5/10

Peter Hammill - PH7(1979): Al termine del suo glorioso decennio, PH cercava di svariare, rifuggeva la new-wave che aveva contribuito ad inventare qualche anno prima e si rifugiava in un cantautorato sofisticato ed anomalo. La classe risolveva diverse matasse, ma l'effetto finale era un po' forzoso e cervellotico. Luci ed ombre. 6,5/10

Hildur Guðnadóttir ‎- Leyfðu Ljósinu (2012): La cellista islandese recentemente assurta al grande pubblico per colonne sonore di pellicole e serie di enorme successo. Qui, in una delle sue prime prove, con un'ambiziosa suite di 40 minuti per cello, voci e dronistica varia; elegante e solenne, ma già rivelatrice del suo futuro, un colto mainstream gradevole ma che alla fine non lascia un gran segno: manca la vera impennata. 6,5/10

O Yuki Conjugate - Peyote (1991): Soffusa elettro-tribal-ambient, non lambiccata abbastanza per essere definita salottiera e non barbara abbastanza per essere definita selvatica. Suoni discretamente datati, lucidità e focus sempre a barra dritta. Più e meno oggi fa = 6/10

O Yuki Conjugate ‎- Equator (1995): Vedi sopra. Questa era roba che poteva anche finire sulla Mental Hour, ma senza avere i riflettori sopra nè spiccare il volo. Come sottofondo è bellissimo, ma tradisce la propria limitatezza artistica. 6/10

Jackie-O Motherfucker ‎- Bloom (2018): Tom Greenwood ha ridotto drasticamente le attività nell'ultimo decennio, ed è un chiaro sintomo di declino come questo album che rispetto alla classica sciatteria psichedelica abbina qualche euforia ritmica quasi sopra le righe e dal sapore un po' forzato per il suono JOMF. Ed anche il resto è abbondantemente dispensabile. 5/10

Julia Holter ‎- Loud City Song (2013): Dischi come questo mi fanno sentire vecchio, ma non bacucco, perchè la Holter spreca il suo enorme talento in un disco che dire schizofrenico è poco, e non m'interessa se questa è l'avanguardia del cantautorato ambient/pop e la capiremo fra 10/20 anni. Qui c'è spreco di talento e tanto altro. 6,5/10

King Of The Opera - Nowhere Blues (2020): Clamorosa svolta di Alberto Mariotti che abbandona il suo originale cantautorato per un synth-pop svagato e banalmente arty. Ci sono dei momenti in cui sembra veramente riecheggiare i triviali Depeche Mode, e i passaggi di buona levatura passano impietosamente in cavalleria. Ok il girare pagina e tutto quello che vuoi, ma qui è stato veramente troppo.  5/10

Kukangendai - Tentei (2021): Purtroppo non c'è stato il ritorno allo scoppiettante algebric-rock dell'esordio; la spaventosa involuzione dei nipponici già sentita su Palm dev'essere uno stato ormai irreversibile. Chissà quali formule ci sono dietro queste 5 partiture....Io so soltanto che mi annoiano, per quanto il suono sia tattile ed emotivo. 6/10

Lycus - Chasms (2016): Death-doom fatale con degli interscambi interessanti di chitarre pulite ed inserti di violoncello che però alla fine restano accessori. Anche le strutture sono intriganti, il mio problema resta il growling, che col passare del tempo sopporto sempre meno. Un'occasione sprecata, nella mia ottica. 6,5/10

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