giovedì 31 marzo 2022

Scarti da TM #72


Terminal Cheesecake - Johnny Town-Mouse (1988): Secondo tentativo e chiudo il libro su questo gruppo inglese strenuamente elogiato da PS. Acid-noise-rock su ritmiche quasi industriali, voci grugnanti, canovacci insistiti fino alla stanchezza. E' qualcosa che in teoria poteva quasi stare a metà fra Godflesh e primi Swans, ma senza talento. 5,5/10

Talking Heads - Talking Heads 77 (1977): Quando leggo che Sorrentino elegge i TH come massima influenza musicale della sua vita, mi rendo conto che c'è qualcosa che non mi sfagiuola. A me fanno lo stesso effetto dei Television o dei Dream Syndicate; un suono asettico, invecchiato malissimo, dalla sua originalità insindacabile, ma degustibus regna sovrano anche privandomi dei più biechi preconcetti. (Uno su tutti; odio Psycho Killer da quando veniva usata come spezza-gambe nelle discoteche alternative a fine serata, oppure dopo i concerti)  6/10

Thee Speaking Canaries - Who Are The Shitbirds Playing? (2019): Demos solitari di Damon Che antecedenti 3 anni la formazione del trio con cui esordirà nel '93. Roba presa di peso e riversata su vinile, roba lo-fi, chiara indicatrice di quel tamarrock che ha perseverato con buoni risultati in contemporanea (ed in opposizione) ai Don Caballero. Roba abbozzata, embrionale, adatta ai fan terminali. Non è il mio caso. 6/10

French Radio - Abandoned Children (2011): Il progetto meno convincente di Bruce Anderson, non tanto per la qualità dei due comprimari ma per il fatto che la sua chitarra di fatto suona come un gorgogliante e sinistro strumento elettro-acustico. 3 lunghissime escursioni post-nucleari, pulviscolose ed insidiose. Da sottofondo senza troppa attenzione. 6/10

Fat Worm Of Error - Pregnant Babies Pregnant With Pregnant Babies (2006): Noise-cabaret che poteva uscire dalla sala per approdare su Load soltanto negli anni d'oro dell'harsh. Di una naiveteè che sfiora la no-wave, difficile giudicarlo se non si entra in sintonia con la sua demenzialità e l'approccio iconoclastico. Io non ci sono riuscito. 5/10

Fire! ‎- She Sleeps, She Sleeps (2016): Un'ode al narcisismo minimalista: lunghi e compassati smooth-jazz per batteria, basso e sax, altro che l'Orchestra. Con tutto il rispetto per Gustafson, che viene definito come un Dio da chiunque; alla fine del disco provo il desiderio di non sentire più un sax fino a domani. 5,5/10

Grouper - Shade (2021): Se non ci fossero stati Ruins e Grid Of Points nel mezzo, avrei detto che ormai lo space-folk bucolico di Liz Harris non mi invitava più di tanto. Fa uno strano effetto:  la classe ed il trademark rendono il disco confortevole e gradito, come un ritorno a casa (non siamo certo ai livelli degli AIA, però) dopo una lunga e difficile trasferta. Ma è fin troppo chiaro che i due sopracitati erano una (felicissima) anomalia. 6,5/10

Urban Sax - Urban Sax (1977): Un esercito di sassofonisti al servizio di Gilbert Artman, che compose due lunghe digressioni in stile minimalista, per mezzo di bordoni ottonati imponenti, con pochissime increspature sul tema. Sulla carta una bella sfida, in pratica di una noia ottundente, anche a causa del suono, una muraglia che lascia poco spazio alla suggestione. 5/10

Dharma Quintet - End Starting (1971): Free-jazz francese da parte di un quintetto che suona furioso e schizofrenico, come se fosse l'ultimo giorno di sempre, ma con perizia. La prima parte è notevole, poi la soglia dell'attenzione scende un bel po', fino a ridursi al lumicino. Motivo?  6,5/10

Univers Zero ‎- Univers Zéro (1977): Impossibile criticare esteticamente la musica dei belgi storici rappresentanti del pentagono RIO, perchè tecnicamente fu una delle più complesse ed ambiziose, colte e preparate del dopoguerra. Nè jazz nè prog, neanche Zeuhl nonostante vaghissima parentela con i Magma. Il problema è districarsi nel groviglio, ed è interamente responsabilità mia, perchè vorrei innamorarmi delle splendide partiture percussive, degli assoli di fagotto, dei temibili cunicoli dei violini, delle minacce aleggianti di spinetta.....ma proprio non ci riesco.  6,5/10

Helen - The Original Faces (2015): Progetto one-shot di Liz Harris con un paio di soggetti sostanzialmente poco conosciuti, per un grumo di indie-shoegaze-noise-pop, un po' Slowdive e un po' MBV, con qualche curioso richiamo alle chitarre di Flying Saucer Attack. Fin troppo facile ipotizzare che forse sia stato only for fun. A seconda dei gusti 6/10

P16.D4 ‎- Acrid Acme (Of) P16.D4 (1989); Fine della corsa del collettivo tedesco che a metà anni '80 fu al vertice del collage organico post-industriale, con due dischi micidiali. Per sonorità così incompromissorie è più facile arrivare a saturazione, e anche se ci diedero dentro come prima il brodo fu allungato più del dovuto. 6,5/10

Inventions - Inventions (2014): Niente, questo progetto fra Matt Cooper e Mark Smith non mi ha trovato proprio entusiasta, nonostante sulla carta potesse essere una bomba. E' un electro-post-rock canonico, baldanzoso ma sognante, che alla fine non acquisisce matrici fondanti nè di uno nè dell'altro. E magari è proprio quello che i due si auguravano. Io mi auguravo soltanto qualcosa di più bello, mica avevo delle grandi pretese....... 6/10

Musica Elettronica Viva - The Sound Pool (1970): Il buon Alvin Curran aveva voglia a prendersela con i due francesi che erano scappati oltralpe a fare il disco della NWW List, che era soltanto meglio di questo agit-prop belluino e barricadero. Urla, percussioni, fischi e fiati in totale libertà, non per fare casino ma per fare concetto. Influente su certo weird americano degli anni Zero, quessto è certo. 6/10

Magnetic Fields ‎- Holiday (1994): L'ultracelebrato indie-synth-pop dei MF in uno dei primi dischi, purtroppo non mi fa un effetto diverso dagli altri. L'inizio sembra promettere molto bene ma la cascata iper-caramellosa sulla lunga distanza mi resta indigesta. E non vale neanche la scusa dell'ascolto distratto, superficiale, etc perchè questa è roba ad assunzione diretta istantanea. 6/10

Love And Rockets ‎- Seventh Dream Of Teenage Heaven (1985): L'ultimo sbiadito Bauhaus aveva confermato il declino di un unità creativa che non sapeva esattamente dove andare a parare. E confermato che Peter Murphy era più che un semplice cantante. I 3 strumentisti ci provarono con un post-wave bizzarro e manieristico, sospeso fra tentazioni acustiche, psichedelia e sirene '80, fortemente penalizzato dalla debole vocalità di Ash, sottotono persino come chitarrista. 5,5/10

Kukangendai ‎- 190609 Palm Release Live (2020): Vale esattamente lo stesso giudizio del disco in studio, vista la grande perizia del trio nipponico nel replicare dal vivo. Ma io non li dò ancora per persi. 6/10