venerdì 31 dicembre 2021

Scarti da TM #69


Asunta - Landscapes (1996): Stimo ed apprezzo molto Opium Hum, ma a volte ho l'impressione che per lui contino di più degli aspetti che vanno oltre lo stretto musicale. Qui siamo di fronte ad un chilometrico sbadiglio per drone monotonale di harmonium e meste svisature di clarinetto, una palla colossale che è davvero impossibile ascoltare per intero. Blah. 4,5/10

Balaton ‎- Fény Közepe A Sötétség Kapujában (1996): Il gruppo del mitico Mihaly Vig, il compositore storico di Bela Tarr. Poco o nulla a che vedere con le magistrali partiture delle pellicole: un jingle-jangle-pop piuttosto compassato e decadente, con qualche piccola fiammata nel finale, penalizzato dal canto di Vig stesso, quasi impresentabile nella sua limitata monotonia (e straniante per la cadenza delle liriche in ungherese, familiare solo a chi ha visto più film di Tarr). 5,5/10

Brainiac - Electro-Shock  For President (1997): L'involontaria ultima uscita dei Brainiac, di poco precedente alla tragica morte di Tim Taylor e soprattutto alla vigilia della prova del 9 su major.- Questo mini fu una sorta di transizione, con pesante dose di elettronica e scarso impiego della strumentazione classica. O fu un test o il segnale che ormai TT era il capo della banda. In ogni caso, un po' troppo ermetico e troppo scuro se rapportato ai precedenti. 6,5/10

Vanishing Twin ‎- The Age Of Immunology (2019): Disco molto battuto nelle polls di fine anno. Per me è una piccola evoluzione degli ultimi Stereolab con qualche spunto tensio-attivo mutuato dai Can, qualche divagazione lounge e un'attitudine pop molto diffusa, con qualche buon pezzo e pi di uno sbadiglio. 6/10

VV.AA. - Flipper Psychout (2010): Antologia 1965/1972 della library italiana più piaciona che ci fosse, per un jazz-funk-rock-soul ruffiano tipico dell'epoca a firma di autori di seconda fascia (alcuni mai sentiti prima). Non mancano comparsate di nomi illustrissimi (Alessandroni, Tommasi, De Filippi), la qualità media non va oltre il 6,5/10

VV.AA. - NME Awards 2009 - Pictures Of You - A Tribute To Godlike Geniuses The Cure: L'ennesimo tributo ai Cure, questa volta patrocinato dal NME e perfino con la benedizione di Ciccio Smith, che introduce il disco con un pistolotto filosofico di 3/4' sulle cover. Ennesimo fallimento, purtroppo, nonostante il coinvolgimento di nomi anche piuttosto illustri; chi fotocopia fa brutta figura, chi stravolge perde il senno. Alla fine i migliori sono i Dinosaur Jr., ma con la loro Just Like Heaven paradossalmente datata 1989...... 5/10

Uochi Toki - Cuore Amore Errore Disintegrazione (2010): Croce sopra ed è un peccato. Idioti mi piacque alquanto, ma dopo averne sprezzati altri 3 penso di poter chiudere la mia esperienza con gli UT. Troppo, troppo lo sproloquio nerd-intellettuale, troppa poca la base musicale. Dovrei ascoltarlo come podcast discorsivo/letterario, preso con le molle, e sono sicuro che apprezzerei. Ma ora come ora voglio impiegare il mio tempo solo per la musica. 5,5/10

Blue Sun - '73 (1973): Dalla Danimarca con professionalità e passione, un gruppo dedito ad un soft-jazz-rock sempre sul limite dello stucchevole e ad oggi, vecchio come l'uomo di Neanderthal. Sax melenso ed organo in primissima linea. A dirla tutta qualche buona melodia c'è, ma come ha esemplificato Vlad, si trattava di qualcosa di sostanzialmente innocuo. 5/10

Reform Art Unit - Darjeeling (1970): Autorevole collettivo free-jazz austriaco, in questa sede ospitante un sitarista indiano di grido. Free-raga-jazz? Fermo restando che il suddetto spesso suona spaesato e senza tanta convinzione, la base è di quelle furiose, con dei fiati notevoli. Ma per la sua natura, resta auto-ostracistico oltre ogni misura. 6/10

Ragnar Grippe - Electronic Compositions (1977): Cellista svedese fulminato sulla via dell'elettronica vintage. Di lui in rete pochissime tracce: genio incompreso o ciofeca? La verità sta più o meno nel mezzo. Spirali minimaliste, voci manipolate, concretismi, per un set molto sfocato nonostante qualche passaggio rilevante. 6/10

Embryo - Father Son And Holy Ghosts (1972): Il più grande limite degli Embryo sintetizzato in uno dei loro primi dischi: una miscela inebriante di etno-jazz-rock strumentale dalla spinta ritmica irresistibile, legata al formato jam, con dei suoni fantastici, ma tirato un po' troppo per le lunghe. L'ultima traccia, un live di 20 minuti, acuisce la controversia fino al parossismo. 6,5/10

Talibam! - Boogie in the Breeze Blocks (2009): Sopraffatti da un inarrestabile voglia di strafare, qui Mottel & Shea hanno finito per esagerare. Altrove, come nel primo o nel terzo album, una maggiore focalizzazione ha permesso alla loro vena pazzoide di emergere e di esaltarsi. Qui c'è troppa dispersione, ma ciò non toglie che il divertimento sia assicurato. 6,5/10

martedì 30 novembre 2021

Scarti da TM #68


Smudge - You Me Carpark... Now (1996): Il power-pop-trio australiano alla chiamata della conferma dell'effervescente Manilow, debutto di un paio d'anni prima. Difficile conservare quei livelli di esuberanza e brillantezza melodica, anche se qualche voglia di deviare si enumerava e la buona volontà c'era sempre. 6,5/10

Stormy Six ‎- Un Biglietto Del Tram (1975): Il disco folk-rock-barricadero degli Stormy Six, ribollente di inni proletari, di canti di protesta, di slogan partigiani e così via. Per quanto ben suonato e nobilitato dalla forma delle liriche, non può che suonare implacabilmente datato, a maggior ragione se lo si affianca al successivo L'Apprendista, tutta un'altra storia.  6/10

Flavio Giurato ‎- Il Manuale Del Cantautore (2007): Il ritorno dopo oltre 20 anni di silenzio vide un Giurato in ottima forma lirica, da sempre il suo punto forte, ed una produzione quasi lussuosa, direi mainstream, per certi versi affine al moderno De Gregori. Pregi e difetti i soliti; qualche cantilena tirata un po' per le lunghe, qualche momento molto alto. La media fa 6,5/10

Ruben Garcia ‎- Room Full Of Easels (1996): Vale più o meno la stessa cosa già detta in precedenza. Direi croce sopra. 6/10

Police - Ghost In The Machine (1981): Persa la grinta iniziale, l'entusiasmo, raggiunto l'apice possibile con Zenyatta Mondatta l'anno precedente, ai Police non restò che l'autoindulgenza, il manierismo e le buone maniere. Lo scioglimento fu la cosa più giusta, viste le smanie di successo di Sting. Ma il potenziale per migrare verso una forma arty c'erano tutte. Anni '80, eh. 5,5/10

Peter Hammill - PH7(1979): Al termine del suo glorioso decennio, PH cercava di svariare, rifuggeva la new-wave che aveva contribuito ad inventare qualche anno prima e si rifugiava in un cantautorato sofisticato ed anomalo. La classe risolveva diverse matasse, ma l'effetto finale era un po' forzoso e cervellotico. Luci ed ombre. 6,5/10

Hildur Guðnadóttir ‎- Leyfðu Ljósinu (2012): La cellista islandese recentemente assurta al grande pubblico per colonne sonore di pellicole e serie di enorme successo. Qui, in una delle sue prime prove, con un'ambiziosa suite di 40 minuti per cello, voci e dronistica varia; elegante e solenne, ma già rivelatrice del suo futuro, un colto mainstream gradevole ma che alla fine non lascia un gran segno: manca la vera impennata. 6,5/10

O Yuki Conjugate - Peyote (1991): Soffusa elettro-tribal-ambient, non lambiccata abbastanza per essere definita salottiera e non barbara abbastanza per essere definita selvatica. Suoni discretamente datati, lucidità e focus sempre a barra dritta. Più e meno oggi fa = 6/10

O Yuki Conjugate ‎- Equator (1995): Vedi sopra. Questa era roba che poteva anche finire sulla Mental Hour, ma senza avere i riflettori sopra nè spiccare il volo. Come sottofondo è bellissimo, ma tradisce la propria limitatezza artistica. 6/10

Jackie-O Motherfucker ‎- Bloom (2018): Tom Greenwood ha ridotto drasticamente le attività nell'ultimo decennio, ed è un chiaro sintomo di declino come questo album che rispetto alla classica sciatteria psichedelica abbina qualche euforia ritmica quasi sopra le righe e dal sapore un po' forzato per il suono JOMF. Ed anche il resto è abbondantemente dispensabile. 5/10

Julia Holter ‎- Loud City Song (2013): Dischi come questo mi fanno sentire vecchio, ma non bacucco, perchè la Holter spreca il suo enorme talento in un disco che dire schizofrenico è poco, e non m'interessa se questa è l'avanguardia del cantautorato ambient/pop e la capiremo fra 10/20 anni. Qui c'è spreco di talento e tanto altro. 6,5/10

King Of The Opera - Nowhere Blues (2020): Clamorosa svolta di Alberto Mariotti che abbandona il suo originale cantautorato per un synth-pop svagato e banalmente arty. Ci sono dei momenti in cui sembra veramente riecheggiare i triviali Depeche Mode, e i passaggi di buona levatura passano impietosamente in cavalleria. Ok il girare pagina e tutto quello che vuoi, ma qui è stato veramente troppo.  5/10

Kukangendai - Tentei (2021): Purtroppo non c'è stato il ritorno allo scoppiettante algebric-rock dell'esordio; la spaventosa involuzione dei nipponici già sentita su Palm dev'essere uno stato ormai irreversibile. Chissà quali formule ci sono dietro queste 5 partiture....Io so soltanto che mi annoiano, per quanto il suono sia tattile ed emotivo. 6/10

Lycus - Chasms (2016): Death-doom fatale con degli interscambi interessanti di chitarre pulite ed inserti di violoncello che però alla fine restano accessori. Anche le strutture sono intriganti, il mio problema resta il growling, che col passare del tempo sopporto sempre meno. Un'occasione sprecata, nella mia ottica. 6,5/10

domenica 31 ottobre 2021

Scarti da TM #67


God Machine - Live @ Rex Club, Paris, France, 12-02-1993: Bootleg estremamente lo-fi del periodo d'oro, con la ritmica in buon udito ma la chitarra un po' sepolta. E nonostante lo stato di grazia generale, un Robin PS un po' stanco e poco performante. 6,5/10

Purple Mountains - Purple Mountains (2019): Mai piaciuti i Silver Jews, ovvero il tanto decantato dalla stampa cantautore Berman. Questa sua nuova incarnazione non fa altro che confermare il mio interesse nei suoi confronti: un cantautore affondato nelle radici folk-rock, stornellante ai limiti del country, a tratti persino stucchevole. 5,5/10

Peter Broderick ‎- How They Are (2010): Autore danese-americano prolificissimo fin dall'adolescenza. In questo, dedito ad un compassato cantautorato che sembra in tutto e per tutto un omaggio a Nick Drake (persino nel canto), che scorre liscio e senza grosse emozioni tangibili. Ben fatto ma non resta un granchè. 6/10

Ligament - Three Dimensional Pumping Heart EP + Indifferent Cop EP (1994/95): Due pubblicazioni corte dei Ligament, le prime su Flower Shop un anno prima del debutto Kind Deeds. Indie-noise di chiara ispirazione statunitense, un'orecchio ai Sonic Youth ed un'altro a derive di matrice Cows, Trance Syndicate e dintorni. Una migliore registrazione avrebbe aiutato non poco. Restano un gruppo di seconda fascia, nonostante la provenienza che di certo non aiutava. 6/10 + 6,5/10

Floh de Cologne - Geyer-Symphonie (1974): Collettivo anarchico tedesco dedito ad operette di cabaret-vaudeville-rock, si direbbe dalle nostre parti musica da baracca per l'epoca, per Oktober Fest un po' più intellettuale ma non troppo. Indispensabile la conoscenza stretta del tedesco per assimilare l'effluvio torrenziale di recitati. Musicalmente ha ben poco, anche se gli strumentisti non erano male. 5/10

Courtney Barnett ‎- Sometimes I Sit And Think, And Sometimes I Just Sit (2014): Cantautrice australiana che fa un indie-rock particolarmente ordinario, senza nessun segno distintivo. Una voce buona ma monodimensionale, qualche buon pezzo viscerale, qualche ruffianeria, insomma nulla che si ricordi di atipico o talentuoso. Archivio senza sussulti. 6/10

Madrigali Magri - Mini EP (2002): Il congedo dei MM, un quarto d'ora di outtakes dell'ultimo album, in tono minore per una carriera breve ma sempre a botta sicura con un pugno di album di roba mai sentita prima in Italia. Qui poco da esprimere: percussivismi, acusticherie, fondelli insomma. Avevano già dato tutto. In gloria comunque. 6,5/10

Ubzub - Fluorescent Subcutaneous Alien Hut EP (1993): Brevissimo (10 minuti) esordio degli Ubzub, contenente 3 pezzi che poi saranno inclusi nel folle Alien Manna. Poco da dire: un meteorite post-residentsiano che fa subito centro, un bignamino di ciò che avrà giustamente necessità della lunga distanza per fotografare meglio la loro arte selvaggia. 7/10

venerdì 22 ottobre 2021

The Cure 22.10.1996 Forli - Palasport

 

25 Anni fa, fratello mio, mi regalavi un'altra emozione accompagnandomi ad un evento epocale per me, cresciuto fin dalla prima adolescenza con l'amore sconfinato e viscerale nei confronti dei Cure. Un concerto lunghissimo, pregno di soddisfazioni e brividi.
Grazie Bro!

giovedì 30 settembre 2021

Scarti da TM #66



VV.AA. - Love In The Time Of Covid (2020): Antologia del Maggio 2020, messa in piedi con un tempismo clamoroso (quasi sospetto), avente obiettivi benefici anti-Covid. Il cast è diviso fra personaggi di altissimo livello (Barzin, Idaho, Pall Jenkins) ed altri semi-sconosciuti, alcuni persino inattivi da anni. Contenuto, materiali rigorosamente inediti. Giudizio: i big raschiano nei cassetti e fanno un compitino mediocre, gli sconosciuti generano curiosità a corrente alternata. 6/10

Vague Angels - The Sunny Day I Caught Tintarella di Luna for a Picnic at the Cemetery (2010): Credo l'ultimo di Chris Leo con i VA, un progetto controverso che non ha mai minimamente sfiorato il livello dei Lapse (figuriamoci quello dei Van Pelt). Indie-rock esuberante, over-arrangiato, a tratti persino funky, semplicemente troppo anche per chi magari voleva reinventarsi. 5/10

Fille Qui Mousse - Trixie Stapelton 291 - Se Taire Pour Une Femme Trop Belle (1972): Entità francese guidata da un giornalista, one-shot. Roba indefinibile. Parte con una interessante sezione ritmica scura ed insistente, ma poi deriva verso qualsiasi freakeria senza capo nè coda, fra demenze, rumorismi, recitazioni e quant'altro. Troppo dispersivo. 6/10

Selten Gehörte Musik - 3. Berliner Dichterworkshop 12-13.7.73: Aveva ragione, come sempre, l'amico Vlad: .....la voliera del disagio mentale. Ci si ferma di nuovo, si riprende, ci si trastulla con bizzarrie assortite, e poi via così, sino allo sfinimento della ragionevolezza. Ognuno lo definisca a modo suo. Da ascoltare, ma con cautela....Appunto, molta cautela. 5/10

Pekka Airaksinen - One point music (1972): Avant-noise a base di elettronica d'antan per questo sperimentatore finnico. La naivetè al potere, una visione a dir poco sfocata, la noia dietro l'angolo. 5,5/10

Rocky's Filj - Storie di Uomini e non (1973): Per certi versi affini ai New Trolls, con l'aggiunta di un sax insistente ed una visceralità notevole. Il cantante sfoggiava un ruggito importante. L'impianto non mancava, la voglia di strafare neanche: il disco è troppo eterogeneo e dispersivo, e perde di vista una visione coerente, che nei grandi dischi prog era essenziale. 6,5/10

Opus Avantra - Introspezione (1974): Ambiziosissimo ensemble che puntava alla fusione estrema di prog, classica, rinascimentale e cabaret. I momenti esaltanti non mancano, soprattutto quando il complesso suonava a pieni giri; sono i diversivi poco musicali e più teatrali a far cascare un po' le braccia (per quanto fosse brava la Del Monaco, la sua inflessione alla Landini proprio non riesco a prenderla sul serio......mi si perdoni). 6,5/10

Tim Hecker - Konoyo (2018): E' un mio problema personale, quello con TH. Perchè dopotutto è un musicista intelligente e sa cogliere suoni davvero inusitati (non saprei dire avanguardistici perchè non sono un esperto). Soltanto che l'album dopo un po' non cattura più la mia attenzione, perchè mi fa uno strano effetto tappezzeria. Forse non ho avuto pazienza. 6,5/10

Faust - You Know Faust (1997): Quella reunion non s'aveva da fare, se romanticamente (e con molto cinismo) ci fermiamo alle motivazioni artistiche. Sembrano delle prove, degli abbozzi, registrati e poi riversati così, senza tanto lavorarci. Diciamo che hanno sempre giocato sull'immagine mitica che la critica gli aveva costruito, e come dargli torto.... 6/10

Richard Skelton - Song To Epsilon Lyrae (2020): Ormai il prode Riccardo ha messo da parte il suo lirismo per darsi ad un ambient abrasa e pulverulenta, qualcosa che se venisse da uno sconosciuto si direbbe "non male", ma prodotta da lui finisce inevitabilmente nel dimenticatoio. 6/10

Furry Things - Hedfones (1996): Soltanto un anno dopo lo splendido esordio, i FT viravano verso un electro-dub svanito e poco focalizzato. Non era il loro humus ideale e l'azzardo non pagò molto. Ma le tendenze facevano gola ed evidentemente l'ambizione ebbe il sopravvento. 6/10

Raic - Multiplicity (2019): Esercizio di stile post-jazz con grande sfoggio di elementi percussivi, con un grande suono, uno stile elegante, qualche voce imponente ed una lunghezza oceanica, davvero troppo, troppo lungo. Quasi da non riuscire ad arrivare in fondo. 5/10

martedì 31 agosto 2021

Scarti da TM #65


Black Midi - Cavalcade (2021): Non c'è dubbio che si tratti di una band di grande talento, esecutivo e tecnico. Si è parlato di King Crimson, di art-prog, e anche questo ci può stare. Si passa da arie solenni a tempeste tech-rock con assoluta disinvoltura, e forse è proprio questo il problema. A questo livello ricordo i Mars Volta, che riuscirono in più frangenti a non oltrepassare quel gradino gigantesco che si chiama autoindulgenza. Ecco dove cadono i Black Midi. 6/10

Roger Eno - The Night Garden (1996): Un Rogerino minore, un po' lambiccato e lezioso, inclusa l'incomprensibile scelta di utilizzare tastiere dal suono un po' troppo midi. Meno lirico e più tappezziere, insomma. 6/10

Dead Meadow ‎- The Nothing They Need (2018): Non ci sono più molte speranze che i DM ritornino all'antica forma, ormai mi sembrano stanchini, privi di quelle trovate sanguigne che tanto ci hanno esaltato in passato. L'esperienza a volte aiuta e qualche buon trip c'è, ma il manierismo aleggia ovunque. 6/10

Foals - Total Life Forever (2010): Lo hanno chiamato math-pop o math-funk, il suono ambizioso degli inglesi Foals. Per me è semplicemente l'AOR dei tempi nostri, una formula molto accessibile ed ammiccante che gli ex-emo non più giovani gradiranno, con la scusa di aver trovato qualcosa di adulto che ha permesso loro di crescere. Qualche buon pezzo c'è (Black Gold).  6,5/10

Levitation - Meanwhile Gardens (1994): Per la cronaca, la versione rimasterizzata con le vocals originarie di Terry Bickers, che nel frattempo era stato sostituito. I Levitation chiusero con le contraddizioni ingigantite: un indie-prog dalle potenzialità enormi, ma succube di un indulgenza e di un massimalismo inarrivabile. Come sprecare centinaia di idee in un solo album? 6/10

Holger Czukay ‎- On The Way To The Peak Of Normal (1981): Stessi ingredienti dell'ottimo Movies, di due anni prima. L'eredità Can, il gigioneggìo ed il cazzeggio, le inflessioni esotiche, Jaki Liebezeit e tanta voglia di divertirsi. Ma il disco è complessivamente fuori fuoco ed alla lunga annoia, alla ricerca di un colpo di coda che non arriva mai. 6/10

Imaad Wasif - Great Eastern Sun (2018): La lunga pausa discografica (8 anni) me lo aveva fatto quasi dimenticare. Il suo 5° album ha rappresentato un'elegante carrellata del suo psych-folk svanito ma a schiena dritta e di nobile pedigree (Barrett e Spence sempre santinati), con 3 grandi pezzi (Origins, Thorn, Unhinged), ma anche con tanti sbadigli, per quanto gradevoli. 6,5/10

Bruno Nicolai - Una Vergine Tra I Morti Viventi (Original Motion Picture Soundtrack) (1973): Da una pellicola erotica-horror tipica degli anni '70, la tipica colonna sonora di Nicolai, sospesa fra fascinosi ed oscuri temi thriller e stucchevolezze bossa-lounge con la signora Dell'Orso a fare il suo mestiere. 6/10

sabato 31 luglio 2021

Scarti da TM #64


Qa'a ‎- Vesprada (2009): Gruppo spagnolo che con fare ineffabile sciorina un calderone di psichedelia, avanguardia, elettronica e tanto altro. Tutto e troppo, un peccato perchè ciascuno dei punti presi, se affrontati con minor frenesia e più concentrazione, denota una capacità molto promettente. 6,5/10

Quiet Nights - Quiet Nights (2020): Una cassettina divertente di Aidan Moffat, se così si può definire, in stile papettiano. Patinata, soffusa library da anni '80, a tratti fin troppo stucchevole ma mai pacchiana e con qualche piccola, sparsa, puntina del suo tratto distintivo, per me sempre riconoscibile fra un miliardo. Qualche gene erede di Lucky Pierre c'è. 6,5/10

Jandek ‎- Ready For The House (1978): Diciamo che Jandek aveva bisogno di qualche anno, un po' di pratica e meno misantropia per carburare qualcosa di interessante. Questo (ovviamente privatissimo) ha assunto importanza soltanto in prospettiva, perchè fu il primo della serie, ed è una lagna interminabile, monotona e volgarmente blues. Troppo. 5/10

Nick Cave - Skeleton Tree (2016): Il rispetto per l'uomo, alla luce dell'infinita disgrazia che l'ha colpito, è smisurato. Fermandosi alla stretta disamina del disco, però, appare chiaro che il flusso di coscienza prevale su tutto il resto, e ciò che rimane è un lotto non molto ispirato, con pochi spunti musicali, tanta nebbia e troppo verbo, neanche tanto teatrale. 6/10

Make Up - I Want Some (1999): Raccolta di singoli pubblicati nei primi anni, e furono veramente tanti (23 tracce in totale). Testimonia che nei Make Up l'aspetto politico ed iconoclastico ebbero il sopravvento su tutto il resto e la musica restò isolata nell'exploit In mass mind, il climax artistico. Un ascolto dignitoso, a prescindere. 6,5/10

Residents - The Commercial Album (1980): Il cosiddetto spot album dei Residents, 50 tracce da un minuto di media, la disintegrazione del loro stile art-dada, la dispersione in mille rivoli. Francamente, un po' troppo, concettualmente manipolavano il tutto con la loro maestria, ma i capolavori furono prima e dopo. 6,5/10

Aidan Moffat & Rm Hubbert - Ghost Stories For Christmas (2018): Alla vigilia del benedetto AS comeback, AM continuava ad incespicare affidandosi alle compassate nenie acustiche del povero RH, un musicista dignitoso ma pur sempre di serie B. Nella prima parte, quando compare la batteria, si sente qualcosa di buono, ma col passare della scaletta la qualità decresce vertiginosamente e la melassa intacca tutto. 5,5/10

Ulver ‎- Bergtatt (1995): Ho sempre avuto un'avversione epidermica verso il black metal, poi una decina d'anni fa uscirono i capolavori di Gnaw Their Tongues e pensai che forse avrei dovuto indagare. Ho provato col primo dei Mayhem e adesso col primo degli Ulver, la sostanza non cambia: rispettabilissima e poliedrica, ma non fa per me. 6,5/10

Peter Zummo ‎- Experimenting With Household Chemicals (1995): La solita free-form session di Zummo con compagnia fra cui un accreditato Arthur Russell a cello e voce, anche se io la voce non l'ho sentita, a meno che non mi sia totalmente avulso dall'ascolto di una lunghissima jam, troppo lunga ed ipnotica per catturare l'attenzione. Troppo difficile per me il concetto ben esplicato nelle note di copertina. In ogni caso, grandi suoni come sempre. 6/10

mercoledì 30 giugno 2021

Scarti da TM #63


Horde Catalytique Pour La Fin - Horde Catalytique pour la Fin (1971): Una delle tante orde di pseudo-avant-free-jazz contenute nella List, il cui giudizio ha molte variabili: l'umore della giornata, il sound preferito dell'ultima settimana, la qualità del sassofonista, etc etc. Questi erano francesi e selvaggi oltremisura, ma qualche momento interessante c'è. 6/10

White Suns - Totem (2014): La stagione dorata del free-noise americano è bella passata e ha lasciato qualche bel reperto, ma ancora oggi qualcuno prova a dare un senso con delle operazioni più o meno colte come questo, che se fosse uscito diec'anni prima sarebbe stato salutato come un capolavoro. Oggi è un buon esperimento e poco di più. 6,5/10

Comsat Angels ‎- Fiction (1982): L'exploit dell'anno prima di Sleep no more purtroppo fu un caso isolato, o una congiunzione astrale. La realtà è che i CA restarono dei wavers di serie B, e la storia l'ha dimostrato. Questo terzo fa il paio col debutto del 1980, un disco sfocato, svagatamente arty e con poche melodie azzeccate. 6/10

Door And The Window ‎- Detailed Twang (1980): Diciamo che a quei tempi in UK era tollerata anche l'amatorietà assoluta, soprattutto se a vaticinare (ed improvvisarsi batterista) c'era un'autorità del DIY come Mark Perry, evidentemente bisognoso di una pausa. Ma diciamo anche che un conto è essere geniali non sapendo suonare (e di esempi ce ne sono tantissimi), un'altro è essere naif ed infantili senza una vaga idea di fondo. 4/10

Doors - L.A. Woman (1971): 2/3 grandi pezzi su 10 non sarebbero stati sufficienti per parlare di rinascita dopo i disastri precedenti, ma quantomeno sarebbero stati un segnale positivo. In ogni caso, non è detto che Morrison sarebbe andato avanti se non fosse morto poco dopo, e sarebbe stato un peccato comunque, vista la sua metamorfosi da shouter (degli altri 3 no, perchè riciclavano luoghi comuni blues con per l'appunto 2/3 impennate notevoli). 6,5/10

Enrico Piva ‎- Double Bind (1989): Geometria assoluta per il Piva più decantato da Vittore Baroni, e non solo. Una serie di pattern percussivi con pochissime differenze, suoni manipolati e sequenze impercettibili da scoprire, con una soglia cerebrale molto alta. Molto pretenzioso e pretende troppa attenzione. 5,5/10

Guru Guru - Early Archives, Live 1969: Archeologia prossima alla profanazione, trattasi di un tape dell'epoca riversato in questo inutile bootleg che assembla per 3/4 delle prove embrionali del grande UFO in una registrazione così infame che svilisce tutto. Parziale ripresa nel finale, con 3 estratti decisamente migliori, per quanto precari (sempre scarti/prove). 5,5/10

R.Y.F. - Shameful Tomboy (2019): Fare il paragone con la divin Polly Jean mi è sembrato un tantinello esagerato. Tuttavia, lo scarno ed enfatico cantautorato della Russo ha un suo orgoglio ed una sua cifra dignitosa (tutt'al più evocherei Thalia Zedek), fatto di semplici pezzi voce e chitarra elettrica, con qualche buono spunto. I margini di miglioramento ci sono. 6/10

lunedì 31 maggio 2021

Scarti da TM #62


Wolfgang Dauner Quintet - The oimels (1969): Pianista tedesco autore di un jazz-lounge-bossa con qualche sparsa deviazione ironica-farsesca, tipo la cover dei Bitolz. Diciamo che pur non essendo propriamente la mia cup of tea, a tratti è piacevole e quasi divertente. 6/10

Emtidi - Saat (1972): Progressive folk dalle leggere venature psichedeliche, quasi come una versione europea di Grace Slick e Marty Balin in un duo semi-acustico, cantante inglese e polistrumentista tedesco. L'impressione è che le loro buone doti  si siano disperse in un calderone un po' troppo ambizioso e dispersivo. 6/10

Rush - 2112 (1976): Ho apprezzato un paio di dischi dei Rush a cavallo del 1980, ma questo mi sembra a dir poco pedante. Non trovo altri aggettivi per descrivere questo hard-prog tecnico e piacione che contiene momenti piacevoli a iosa, ma alla lunga finisce per stancare a causa di un narcisismo, per appunto, pedante. 6/10

Other Half ‎- The Other Half aka mr. pharmacist (1968): Garage-rock di matrice Nuggets, con un giovane Randy Holden pre-Blue Cheer, indubbiamente grintoso e rotolante, ma decisamente invecchiato un po' come tutto il genere. De Gustibus. 6/10

Analogy - Analogy (1972): Lo chiamano progressive, ma io ce ne trovo abbastanza poco. Una vocalist possente su una base piuttosto scontata, col predominio di un organo che alla fine del disco ti fa odiare quel suono. 5/10

Helios - Domicile (2020): Già con Veriditas Keith Kenniff aveva trasformato Helios in un unità spazio-cosmico, ancora di spessore. Domicile getta la maschera, con un vaporoso ambient privo di dinamiche, quasi come un Basinski con velleità emotive. Prima vera delusione, ma dopo 15 anni gliela si può anche perdonare. 6/10

Horse Lords - Interventions (2016): Elettro-rock sincopato, funkeggiante, in cui gli strumenti classici vengono macchinati fino al punto di non avere quasi più sembianze umane. Vengono tirati in ballo nientemento che i Can per riferirsi, e certi spunti sono davvero pregevoli, ma l'effetto tediante è un insidia più che tangibile. 6,5/10

Nico - Camera Obscura (1985): Nemmeno la diva tedesca riuscì ad affrancarsi dalle sonorità modaiole a metà '80, seppur sempre immerse nella sua tipica atmosfera angosciosa e marziale. Tuttavia, era una Nico poco ispirata e poco a suo agio in questa nebbia hauntologica, ed il disco appare confuso e disorientato, con ben pochi momenti da ricordare. 6/10 

Madrugada - Industrial Silence (1999): Al primo disco, il gruppo norvegese declamava il suo indie-maudit-rock con fare sornione e carismatico, aperto discepolo di Nick Cave ma declinato in una modalità accattivante ed a tratti blueseggiante. Peccato che il talento latitasse per gran parte del disco, ed allora si pensò che fosse acerbità. Qualcosa di meglio poi l'hanno fatto, ma se sono rimasti un'entità per pochi un motivo ci sarà stato. 6/10

Julianna Barwick ‎- Nepenthe (2013): Non replicata la magia della Magic Hour di due anni prima, per quella che definirei una sindrome alla Message To Bears: l'eccessiva cura, la visione della luce, una rivelazione in maggiore che banalizza un po' quanto di buono era stato brevettato in precedenza. In ogni caso, un bell'ascolto, per carità. 6,5/10

June Of 44 - Revisionist - Adaptations.... (2020): Saluto con entusiasmo il ritorno, se di questo si tratta, dei June of '44, ma rimando il giudizio completo ad un eventuale nuovo disco. Per il momento, una rielaborazione di alcuni pezzi del loro ultimo repertorio prima dello split, cioè quello meno entusiasmante, un paio di remix passabili ed un inedito. Riscaldamento? 6,5/10

Visible Cloaks - Reassemblage (2017): Sbandierata come nuova frontiera dell'ambient elettronico, un duo canadese che assembla micro-sinfonie certosine a base di sonorità simil-giapponesi molto hauntologiche, e non saprei se il mio solito interrogativo dev'essere: sono troppo vecchio io per queste nuove frontiere o è iper-modernariato di cui mi sfugge il senso? 6,5/10

Rosa Mota - Bionic (1996): Dopo l'indimenticabile esordio Wishful Sinking, i Rosa Mota andarono nel pallone, persero la loro profondità spleen e pensarono di poter sfondare diventando i nuovi Pixies, senza avere il talento melodico di Frank Black nè le velleità produttive. Fu un triste addio, confusionario e sfocato, senza un filo logico. 5,5/10

venerdì 30 aprile 2021

Scarti da TM #61


Fluxus - Pura Lana Vergine (1998): Ai tempi del loro primo, nel 1995, li vidi suonare all'Ex-Machina ed ero impallinato per gli Helmet. A distanza di oltre 20 anni, questo alternative-hardcore-noise mostra tutto il  suo invecchiamento e la sua limitatezza d'espressione, ma all'epoca fece un po' sensazione. Questo fu il loro secondo e la sua monodimensionalità è impietosa. 5/10

Nik Turner ‎- Prophets Of Time (1994): Il pifferaio matto degli Hawkwind con una squadra assortita che incluse anche Helios Creed, in verità poco presente. Il disco è un ginepraio sci-fi-space-electro-rock che alterna tirate acide a sballi cosmici ad intermezzi folk, e non sarebbe stato neanche malaccio se non fosse stato per la produzione, orribile sulle batterie e sulle tastiere. 6/10

Voo-Doo Church - Voo-Doo Church EP (1982): Brevissimo EP di goth-punk di media levatura, come una versione grezza e cruda dei primi Christian Death, ma con maggiore immediatezza ed un cantante dalla voce adolescenziale. Curiosamente resterà isolato per oltre 20 anni. 6,5/10

Mogwai - As The Love Continues (2021): La mia personale teoria che ormai vadano bene nelle colonne sonore trova un riscontro nell'ennesimo album di inediti, che mi sforzo di apprezzare per quello che è; un buono ed onesto replicante di tanto passato glorioso, in varianti che raramente fanno drizzare le orecchie. 6,5/10

Luc Ferrari - Presque Rien (Recordings 1967-1989): Spesso paragonato a Pierre Henry. Nella mia ignoranza di avanguardia storica, il confronto non regge con la sua imponenza. I suoni sono interessanti ma la collezione è troppo lunga per tenere desta l'attenzione e la componente aleatoria sembra troppo espansa per esprimere una coesione d'intenti. 6,5/10

Albrecht-d. & Joseph Beuys ‎- Performance At The ICA London 1.Nov.1974: Una sorta di rito tribale per tablas, campanelli e voce da untore/stregone che recita delle formule magiche. Doveva essere di una noia mortale assistere, figuriamoci ascoltarlo. Scherzi della List. 4/10

New Phonic Art 1973 - Free Improvisation (1974): Per la serie Scatenatevi Bestie, un campionario di free-jazz a dir poco imprendibile, ma senza batteria e quindi, a mio parere di ignorante, poco dinamico. 5/10

Cure - Music For Dreams (1992): Bootleg ultra-feticista per maniaci che include una 15ina di strumentali, a detta di un fan-club, di demos, di prove per soundcheck, di spunti che non ce l'hanno fatta ad arrivare allo stadio definitivo, ed alcuni già pubblicati come b-sides, grosso modo del periodo 1989-1992. Le cose belle non mancano, ma neanche le passabili. 6,5/10

James White & The Blacks ‎- Sax Maniac (1982): Grande assembramento di musicisti con le palle per il disco satin-funk di James Chance, un po' patinato ma dallo stile ruvido ed istrionico tipico del personaggio. Difetti: troppo allungati i brani, poca varietà. 6,5/10

Antlers - Green To Gold (2021): 7 anni dallo splendido Familiars sono tanti e c'era da insospettirsi, forse. Il prezioso poli-trombettiere Cicci non c'è più e se ne sente la mancanza. Silberman ha perso quel furore artistico e se ne esce con un disco soporifero, a tratti svenevole nelle sue nenie estatiche che non hanno più il tocco magico di un tempo. Peccato. 6,5/10

Fugazi - 1999 Instrument: Colonna sonora di un documentario a loro dedicati, all'epoca fece un po' storcere il naso, nonostante la natura laterale. Suona come un cazzeggio, fra demos e prove, ed ha inaspettate derive cantautoriali/post-rock. Dei Fugazi diversi, se vogliamo; a me è sempre piaciuto, ma con le dovute considerazioni. 6,5/10

Sophia - Holding On - Letting Go (2020): Vivacchia di rendita, il buon vecchio Robin, da ormai più di un decennio. L'ispirazione di un tempo è bella andata, ma ciò non toglie che questo sia più che dignitoso, con qualche discutibile puntata alt-new-wave e le cose belle nelle ballad elettriche che restano il suo fortino. Non si parla mai male di un eroe, in fondo. 6,5/10

Message To Bears - Constants (2019): Quasi nessuna novità nell'ultimo MTB; suoni ovattati, beats moderatamente sincopati in un tappeto onirico-celestiale ed il sentore di già sentito che sì, è sempre gradevole, ma i fasti di Departures sembrano già preistoria. Perlomeno questo è un filo meglio del precedente. 6,5/10

Chameleons ‎- Why Call It Anything (2001): L'isolata reunion della line-up originale, oltre a generare nuovi ed insanabili scazzi fra Burgess e gli altri, non andò oltre un disco in cui la freschezza originaria era ormai persa, fra sensazionalismi forzati e melodismi eccessivi. Non mancano un paio di prodezze ed il revival era alle porte, ma quando non deve andare non va. 6/10

Current 93 ‎- The Stars On Their Horsies (2018): Uno degli innumerevoli intermezzi laterali di Tibet. Concept di 40 minuti su un paio di incubi annotati al risveglio, collage allucinato e per sua natura molto poco coeso. Inizia discretamente ma poi si fonde come neve al sole. 5,5/10

Velvet Underground - White Light - White Heat (1968): Seminali quanto vi pare, questo è indiscutibile. Ma qui mancava la classe di Nico, la compiutezza delle composizioni e l'eroina evidentemente la faceva da padrone. Diciamo che è stato il loro disco minimalista, ed era giusto che lo fosse. 6,5/10

mercoledì 31 marzo 2021

Scarti da TM #60


Come - I'm Jack (1981): Dopo il clamoroso debutto di Rampton, William Bennett abbandonava di fatto la 6 corde e si metteva a smanettare di larsen, dando il via alla saga infinita di Whitehouse. Un colpo di spugna all'arty-noise-punk che aveva creato, una svolta sconcertante ma simbolo di una scelta oculata. 6/10

Irresistible Force - It's Tomorrow Already (1998): Chill-out nella sua natura totalizzante, sconfessata ed iper-funzionale. La musica migliore che si potesse sentire in un club a fine millennio, senza bisogno di ingaggiare un dj, per mettere a proprio agio gli avventori. Condensando le eccellenti 6/7 idee di questa ora, i Global Communication ne avrebbero fatto un ottimo prodotto. 6,5/10

Splintered - Moraine (1996): Un monolite di quasi 40 minuti di space-noise dal ritmo immutato, come un cingolato in una prateria. Fu l'ultimo atto di un collettivo inglese che paradossalmente avrebbe trovato più riscontro 10 anni dopo, ma che in sostanza agiva in maniera concettuale, senza molto talento. 5,5/10

Grand Magic Circus Et Ses Animaux Tristes - Le Grand Méchant Cochon et les Trois Gentils Petits Loups (1974): Colonna sonora di una rappresentazione teatrale, con la recitazione sempre in primo piano e sporadici interventi musicali a base di cabaret, vaudeville, folklore e blues. Sono ignorante di materia teatrale e quindi non mi permetto, ma questo è uno dei tanti scherzi di Stapleton. 4/10

Food Brain - Social Gathering (aka Bansan) (1970): Giapponesi, scatenati con una formula dissacrante a base di classica, hard-rock, blues, free-jazz e testosterone a palla. Se avessero deciso di pavoneggiarsi meno e si fossero concentrati su meno aree avrebbero avuto il potenziale per fare un gran bel disco. Invece 6/10

Alrune Rod - Spredt For Vinden (1973): Gradevole psych-rock scandinavo, grintoso e con buone trame chitarristiche. Ma era un'involuzione senza ritorno, per un gruppo che 4 anni prima aveva fatto un mezzo-capolavoro di psych&prog oscuro ed originale. Il secondo deludentissimo l'aveva già certificato. 6/10

Samla Mammas Manna - Samla Mammas Manna (1971): Il debutto dei favolosi svedesi, con il consueto calderone di idee jazz-circus-prog, poco canto e l'assenza della chitarra di Costas, che entrerà decisivo a partire dal secondo. Un disco un po' acerbo per il loro potenziale in prospettiva, e con l'aggravante di una pessima registrazione. Ma usciranno, oh che usciranno....6,5/10

Mainliner ‎- Mainliner Sonic (1997): Smaltita la sorpresa del Mellow Out che l'anno prima aveva creato un mostro harsh-psych, la replica non fu molto esaltante, a conferma che il loro era più uno stile esibizionista che una reale voglia di creare musica. 6/10

Bauhaus - Press the eject and give me the tape (Live 81-82): Se penso a quanto amavo i Bauhaus 20/25 anni fa, impallidisco e devo ammettere che la storia non ha reso loro molto giustizia ed ha fatto invecchiare un po' la loro musica. Questo live ne è mesta attestazione: esecuzioni potenti ed impeccabili, materiale ingiallito. Peccato. 6,5/10

Cloud Nothings - The Black Hole Understands (2020): Per quanto il power-pop di Dylan Baldi sia spontaneo, genuino ed energetico per farsi ascoltare con piacere, non gli perdonerò mai di non esser tornato ai livelli di Attack on memory. 5,5/10

John Carpenter ‎- Lost Themes III Alive After Death (2021): Spiace un po' constatare che JC ed i suoi due sodali, a distanza di 6 anni dal mio disco dell'anno, siano scesi un po' nel manierismo e nell'autoreferenzialità di un album che, per carità, si ascolta benissimo, ma è nettamente inferiore a quella rivelazione. 6,5/10

Cloud Nothings - The Shadow I Remember (2021): Mi intestardisco nello sperare che Dylan Baldi ritorni con un colpaccio e questa volta ci andrebbe vicino, vista la registrazione di Steve Albini. Il suo power-pop è contagioso e divertente, ma sembra sempre che gli manchi quella scheggia di follia (o di spleen) per essere veramente oltre. Può farcela, ma io non ho molta pazienza. 6,5/10


domenica 28 febbraio 2021

Scarti da TM #59


Television - Marquee Moon (1977): Arieccoci con un bel bestemmione di quelli che incendiano l'aria: Marquee Moon è un disco vecchio che porta male tutti i suoi anni, con una produzione sgonfissima, e sorpresa, neanche irresistibile nelle sue composizioni così banalmente sixties. Esclusa la title-track, che ovviamente è un bel viaggio e porta alla sufficienza. E' grossa? 6,5/10

Dalis Car ‎- The Waking Hour (1984): Due protagonisti della gloriosa new-wave che si lasciano crogiolare nelle loro stesse vanità. Karn confeziona temi esotico-plastici di sofisticazione monotona, Murphy esaspera le sue mono-corde senza troppa convinzione, come a dover fare il compitino. Una gran noia. Giusto lasciar perdere. 5/10

Ultravox! - Ultravox! (1977): Debutto incisivo, ma a mio parere inferiore ad Ha Ha Ha. Qualche ghirigoro di troppo, d'altra parte ho sempre pensato che fossero migliori nelle parti più grintose. Ma sono dettagli. 7/10

Global Communication ‎- Incidental Harmony EP (1994): 20 minuti coevi del grandissimo 76:14, dentro al quale avrebbero comunque rappresentato episodi minori. Sottofondo pleonastico, con ritmi discreti e poche progressioni armoniche, neanche irresistibili. 6,5/10

Melvins - Prick (1994): Il cosiddetto disco d'avanguardia dei Melvins,  inteso come valvola di sfogo dagli oneri di essere su major del periodo. I momenti inebrianti non mancano, ma l'impressione che sia nient'altro che uno scherzo è troppo tangibile. 6/10

Palace Brothers - There Is No-One What Will Take Care of You (1993): Il primo di Will Oldham, in versione pulita con band completa, lo stile personale già definito per quanto troppo ortodosso per spiccare in senso lato. Ci metterà poco, 1/2 anni, a farsi notare anche da chi, all'epoca, vedeva il country come il fumo negli occhi (me compreso). 6/10

Dark Sarcasm - Lego Facilities EP (1992): Hardcore colorito su Gravity, un po' primi Bad Brains ma proditoriamente crossoverato in bianco. Fu il primo gruppo di Pall Jenkins, e sentirlo gridare così come un ossesso fa un effetto curioso. La registrazione infame spegne la voglia di riascoltarlo, peccato. 6/10

Stooges ‎- Live At Goose Lake August 8th, 1970: Per il mezzo secolo di Funhouse, sulla carta una prodezza; sentire come potevano essere sul palco. In realtà, una sonorissima presa in giro, delusione cocente è dir poco: la sezione ritmica suona fuori sincrono, con Alexander in coma prodondo e Scott Asheton in trip megalomaniaco. Non basta un buon Iggy ed un Ron Asheton in forma per salvare il disastro. 4,5/10

Japan - Obscure Alternatives (1978): Non credo fosse David Sylvian a guidare i primi Japan, ma una sua trasposizione giovanile arrogante e posseduta da un brutto demone. Per fortuna che trovarono la bussola in poco tempo. 5,5/10

Nadja - Erós (1985): No, non è Aidan Baker da bambino. Erano un quartetto ligure di dark-wave che fece un paio di cassettine e poi si riunì in anni recenti per delle rivisitazioni particolari. La storia è sempre la stessa: se c'era qualcosa che meritava e non è uscito alla ribalta nel giro di pochi anni, un motivo c'era. Mai fidarsi di paolobertoni. 5,5/10

Ghostpoet ‎- Some Say I So I Say Light (2013): Buon secondo per lui, un paio d'anni prima del rivelatorio Shedding Skin. Un po' ipnotico trip-hop, un po' cicaleccio generico, un po' didascalico e ripetitivo, con le liriche forse troppo centrali. 6,5/10

Malcolm Middleton - A Quarter Past Shite (2011): Raccolta di demos casalinghi per MM, a suo dire alcuni addirittura datati 1994. Come sempre: se sono rimasti nel cassetto, un motivo c'era, ed infatti se ne ricordano 2 su 18, un po' poco per una srotolata di pezzi voce e chitarra acustica e nient'altro, che non fanno nulla per mescolare le carte in tavola. 5/10

Hypnodrone Ensemble - s/t (2014): Aidan Baker con un altro chitarrista e 3-tre-3 batteristi, un progetto impro. Una suite di 40 minuti, che inizia con nebulose ambient in stile e poi dilaga tempestosa quando entrano le batterie. Un maelstrom mono-tonale di space-hypno-rock che non trova alcun significato se non quello di annoiare. 5/10

Crystalized Movements ‎- This Wideness Comes (1989): Interessante ibrido di space-punk con un chitarrista maniaco senza freni, impegnato a fare più casino possibile. Fu un incompiuta, perchè i mezzi ed il talento per fare qualcosa di peculiare c'erano, e forse sarebbe bastato un produttore lungimirante che li registrasse decentemente e sapesse porre un limite a quel folle. 6,5/10

Alberto Camerini ‎- Cenerentola E Il Pane Quotidiano (1976): Stesso problema del Finardi coevo; per quanto ben suonata, questa musica è invecchiata malissimo, alla pari delle liriche barricadere di ultra-sx che sono moderne come le piramidi. Aggravante: almeno Finardi era un songwriter d'anima, Camerini invece un chitarrista vanitoso con ben poco da dire. 4,5/10

Leo Nero - Monitor (1980): Dopo un buon primo nel 1977, Leone scendeva nel pacchiano più pacchiano che si poteva, con uno stranissimo ibrido fra beat '60 e electro-wave vagamente stradaiola. Un obbrobrio assoluto. 4/10

Mallard ‎- In A Different Climate (1976): I fuoriusciti dalla Magic Band dopo i disastri londinesi che portarono il Capitano al momento più buio della carriera. Un ordinario e raffinato country'n'blues'rhythm, con un cantante uguale a Joe Cocker ed il sentore che il 1976 sia stato musicalmente il peggior anno degli ultimi 60. 5/10

Splintered - Parapraxis (1992): UK-Noise-rock approssimativo, dozzinale e pestato duro, con una batteria dal suono orribile. In teoria volevano essere una versione zavorrata dei Godflesh, oppure una grezza degli Skullflower, ma il disco è tirato troppo per le lunghe, nonostante qualche buona trovata sparsa. 5,5/10

Harold Budd & Cocteau Twins - The Moon And The Melodies (1986): Più che uno split vero e proprio, un disco dei CT con 2 pezzi ambient di HB infilati posticci, e ben poco sentore di reale interazione compositiva. Gradevole nel complesso, ma poco esaltante viste le premesse. 6/10

Aidan Baker ‎- Lost In The Rat Maze (2011): Una sorta di mutazione spazio-temporale dei Flying Saucer Attack, per un disco che sulle intenzioni sarebbe stato notevole, ma si perse nella sua eccessiva lunghezza. Fosse durato la metà, parleremmo di uno dei migliori dischi di Baker (questa è grossa). 6,5/10

Make Up - Destination Love; Live! At Cold Rice (1996): Live che in teoria avrebbe dovuto esaltare le loro doti sul palco, ma in realtà finisce per l'essere un po' sgonfio. Certo le acrobazie di Ian Svenonius sono sempre un piacere, ma si scopre che il trio di supporto è tecnicamente povero e senza il supporto dello studio non rende giustizia al divertimento sprigionato. 6/10

National - I Am Easy To Find (2019): Imperterriti, forti della loro unità, con le varianti possibili (ottima la scelta delle voci femminili, qualche stravaganza ritmica un po' meno), insomma i National sono sempre loro ed avrebbero sfornato l'ennesima eccellenza se avessero tagliato la durata di un 25/30%. Sedici pezzi sono troppi, ed i minori un po' troppo deboli. Peccato perchè pezzi come Oblivions sanno ancora mettere i brividi addosso. 6,5/10

Blonde Redhead ‎- Barragán (2014): Sarei voluto andare controcorrente, come mi piace spesso fare, e dire che i BR stanno vivendo una dignitosa mezza età, ed invece mi tocca assecondare il coro. Nel tentativo di reinventarsi, appannati, inconcludenti e volutamente kitsch, deludono qui soprattutto nella sconcertante prima metà. Quando lo spessore si rialza, però, è troppo tardi per recuperare. 5/10

Enzo Carella - Sfinge (1981): Alla prova del 9 del successo, Carella sceglieva il compromesso; non si svendeva e non si evolveva. Semmai, si piegava alle tendenze sia artistiche che produttive con un funk-pop lambiccato e poco incisivo. Manco a dirlo, furono le supreme liriche del Dio Panella a rivoltare la frittata in positivo. La media faceva 6,5/10

Bruce Springsteen - The River (1980): C'ho provato, e ne sono felice (si fa per dire, 30 secondi di ogni pezzo e poi skip). Morale: ho cancellato la cartella dal mio archivio HD, una cosa che sarà successa sì e no 2/3 altre volte nella vita. Non voglio mancare di rispetto a nessun artista ed a nessun fan. s.v.

Can - Future Days And Past Nights (Live 1975): Un live in bassa fedeltà, testimone di un periodo ancora positivo ma limitato, sul palco, dall'assenza di Suzuki. Doveva essere un'esperienza davvero sensoriale, ma come ascolto fine a sè stesso resta solo un buon sottofondo della loro destrezza, senza scossoni. 6,5/10

Seirom - Slow Waves (2018): Non è un caso se i primi 2 eccellenti dischi sono stati stampati e gli ultimi 2 invece sono usciti soltanto in download su Bandcamp. De Jong deve aver perso l'ispirazione per Seirom, ancor più vaporizzato in una nebbia new-age-core-gaze senza nerbo, senza impennate e monolitica. 5/10

Arthur Russell ‎- Sketches For World Of Echo - June 25 1984 Live At Ei: Dal pozzo senza fondo, una specie di live privato che contiene i semi del (unico) capolavoro di Russell. Solo violoncello elettrificato, fuzzato, e voce. Si sente l'ispirazione, ma di fatto fu una jam session in solitaria, che inizia bene e poi annoia sempre più man mano che prosegue. Valeva la pena? 6/10

Swell Maps ‎- Whatever Happens Next (1981): Antologia di demos casalinghi precedenti il primo storico album, sciorinata subito dopo lo split. Livelli quasi feticistici, vista la qualità audio infame delle registrazioni. La genialità c'era già, ma sarebbe stato sufficiente farlo singolo, non doppio, tagliando quelle nefandezze che sono i pezzi oltre i 10 minuti. 5,5/10