mercoledì 31 luglio 2019

Scarti da TM #48

Slow Mass - On Watch (2018): Post-hardcore altamente evoluto, ai limite dell'emo ma con una sua fisionomia, che non è ruffiana nè troppo grintosa. Certe cantilene poi spezzano un po' le tensioni positive, il che potrebbe lasciar sperare in un futuro roseo, previa una maggior coesione. 6,5/10

God Is An Astronaut - God Is An Astronaut (2008): Al 4° album, i GIAA avevano di fatto sparato tutte le cartucce possibile e la formula, per quanto bella ed avvincente, iniziava ad essere trita e ritrita. Ecco la differenza con i maestri Mogwai ed Explosions: la classe fa la differenza. 6,5/10

Aidan Baker - Still Life (2011): Ci mancava soltanto che AB si mettesse a provare ad imitare i Necks. Quattro lunghe digressioni per piano ed un po' di batteria, sul minimalismo compassato e più spoglio dell'iper-trio australiano. Ma il problema d'incontinenza di AB è sempre il solito: su 50 minuti totali, le idee valide si concentrano in 3/4' e tanti ne sarebbero dovuti uscire. 5/10

Azure Ray - November (2002): Qualcuno me l'ha consigliato, non ricordo chi. Duo femminile, cantautorato folk-pop, ai limiti del mainstream, in una metà. Discreta l'altra metà, più raccolta ed intimista. La media fa 5,5/10.

Darkside ‎- All That Noise (1990): Il primo del gruppo di Pete Bassman dopo l'uscita dagli Spacemen 3. Psycho-pop che più vintage non si può, con folate di organo a banchi, chitarra alla Krieger, e la pessima voce del leader. Pezzi soporiferi. Andrà 100 volte meglio col successivo e finale Melomania. 5/10

Free - Fire And Water (1970): Una volta amavo i Free, soprattutto per la loro genuinità. Oggi non è che li disconosco, ma ammetto che non erano dei fenomeni in scrittura e i dischi in studio erano prodotti con grosse lacune. Per cui ritengo vadano relegati nella serie B del blues-rock, la quale di per sè non è una condanna. 6,5/10

Miranda - Inside the whale (2003):  Primo disco dei fiorentini, piacevole anomalia a base di post-rock, math e post-hardcore. Un debutto acerbo, indietro rispetto a quanto faranno in seguito, con un mixaggio pessimo, qualche iterazione di troppo ed una derivazione molto chiara (USA). Certo che rispetto ad altre ciofeche italiche, però, sempre grasso che cola. 6,5/10

Cough - Ritual Abuse (2010): Doom-metal ultra-stereotipato per 4/5, con unica eccezione in un gran pezzo che li fa sembrare dei pesissimi Dead Meadow pietrificati. Qualcosa ce l'hanno e l'hanno dimostrato in seguito (vedi split con i Windhand), ma a fare della roba così ci vuole fegato e faccia tosta, per prevalere sulla concorrenza. 5,5/10

Dead Rider - Dead Rider Trio featuring Mr. Paul Williams (2018): Interlocuzione di Todd Rittmann a supporto dello sproloquio di tal Paul Williams, a me totalmente sconosciuto. In pratica una serie di jams su uno spoken word ininterrotto, sempre di gran razza ma evidentemente realizzate con scazzo e senza tanto fondamento. Pausa creativa, diciamo. 6,5/10

Omega Tribe - No Love Lost (1983): Mi si proponevano come alter-ego dei Crass, con una maggiore propensione però alle commistioni wave. Generalmente buono ma ce ne correva abbastanza, per eguagliare quella creatività. 6,5/10

Third Ear Band ‎- Alchemy (1969): Molto inferiore al successivo che resterà più scolpito nella memoria collettiva. Qui più che altro c'è creazione di ambienti ancestrali, ma grosse idee innovative quasi nulla. 6/10

Constance Demby - Novus Magnificat (Through the Stargate) (1986): Discone beatificato ai 4 venti come colosso della new-age, persino da PS, ma che secondo me, nella sua solennità satinata/elettronica finisce ridimensionato rispetto al grandissimo Sacred Space Music, il suo umilissimo ed austero capolavoro. 6,5/10

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