martedì 31 marzo 2020

Scarti da TM #56

Jan Dukes De Grey ‎- Sorcerers (1969): Due anni prima del capolavoro che fece loro guadagnare l'ingresso nella List, i JDDG erano un duo acustico privo del batterista che sarebbe subentrato ed avrebbe indetto la rivoluzione. Sul loro primo, facevano un folk stentoreo, con indubbiamente qualcosa in più, ma restavano fermi su posizioni abbastanza immobili. 6,5/10

Nadja - Skin Turns To Glass (2003): Penso di non essere più in grado di sostenere i lavori colossali di Baker, anche se più freschi in quanto fra i primi dell'alluvione. Questo episodio drone-shoe-metal non è male per niente, soprattutto sui suoni, ma la diluizione oggi non fa per me. Periodaccio. 6,5/10

Attack - Final Daze (1968-69): Il gruppo pre-Andromeda di John Cann, entrato a vita già iniziata di un gruppo psych-beat tipico, seppur sui generis, che fece virare verso un proto-hard-rock sanguigno e viscerale. La stoffa del chitarrista innalzava effettivamente le quote della band, che però sembrava combattuta ancora in qualche stucchevolezza '60. Compromesso. 6,5/10

Pere Ubu - The Long Goodbye (2019): Dispiace per David Thomas che sconta pessime condizioni di saluti, ed il titolo lascia immaginare che sia alla fine. Ma cercare di rievocare The Modern Dance oggi come oggi è impossibile, e la patina di manierismo e la forzatura a tornare a quelle sonorità segna un disco nostalgico, vacuo e privo di scossoni. 6/10

Teardrop Explodes - Piano (1990): Raccolta dei primi 3 singoli fra il '79 e l'80 e relative non-album tracks, che per inciso, erano nettamente inferiori. Quindi prodotto stretto per completisti vogliosi di versioni differenti (e mal prodotte). Per chi si vuole esaltare con il meglio dei TE, prego consultare Zoology e Peel sessions plus. 6/10

Ton Steine Scherben ‎- Wenn Die Nacht Am Tiefsten (1975): In un'accezione positiva, dei Wishbone Ash teutonici con una punta di psichedelia acida. In quella negativa, l'epitome ruvido e sanguigno dell'Oktober Fest 6/7 pinte prima di collassare. Molto buone certe parti chitarristiche ed alcune strutture armoniche, ma in toto è troppo lungo. 6,5/10

Orchid Spangiafora - Flee past's ape elf (1979): Arrivato alla fine del disco, l'ultimo pezzo è un minuto e mezzo di oscillatori e moogs ed è un sollievo. Prima, soltanto cut-up vocali parlati, in minima parte lavorati, inarrestabili, fluviali, senza la minima variazione di tono. Una roba indigeribile, e dubito che anche molti madrelingua l'abbiano gradito. Scherzi della list. 4/10

Ibliss - Supernova (1972): Purissima tappezzeria sonora da parte di un one-shot teutonico comprendente il primo batterista dei Kraftwerk. Ma lasciamo perdere. 4 pezzi, 3,5 idee diluite all'infinito fra psichedelia salottiera sax-jazzy etno-bongo. Plank non si negava a nessuno nella sua opera fondamentale, ma si sa che in fondo era un po' vanitoso anche lui. 5/10

Lubat, Louiss, Engel Group - Live at Montreaux 1972: Jazz-rock francese, sornione, impeccabile e col suono bello spesso, fumoso e denso, tipicissimo di quegli anni. Molto mestiere = molto manierismo, solo l'ultimo pezzo mischia un po' le carte e lascia pensare a certi sviluppi futuri d'oltralpe (Lard Free). Diciamo una quarantina di minuti gradevole e svelti in archivio. 6/10

Glaxo Babies - Put Me On The Guest List (1980): Raccolta delle prime cose pubblicate, molto lo-fi, grezzo e acerbo rispetto al quasi coevo unico album che finirà sulla list. Un nome inferiore alle leggende art-funk-punk conterranee, c'è poco da fare. Per completisti che non si vogliono far mancare nulla, a livello documentale. 6,5/10

Giardini Di Mirò ‎- Different Times (2018): Purtroppo incapaci di rinnovarsi, i GDM indugiano in quello che hanno saputo fare meglio nella loro carriera, ma il tempo passa inesorabile e non dà tregua ad un genere che ha esaurito da tempo le proprie cartucce. Se fosse uscito nel 2000, l'avremmo salutato con tepore. Oggi no. 5/10

Tropical Fuck Storm - Braindrops (2019): Uno dei più inneggiati del 2019 è un pastone di art-psych-indie-pop. Stucchevole a più riprese, con velleità decisamente superiori al risultato finale che è fin troppo agrodolce. 5/10

Friction - Skin Deep (1982): Dopo un irresistibile primo album di art-punk-wave, i Friction passarono su major, raffinarono la loro tecnica e godettero di una migliore produzione, ma persero un po' della loro follia assestando il loro focus sul groove, verso un funk bianco spigoloso indipendente dai modelli britannici. Sempre esemplari (con un suono che per essere il 1982 era un lusso) ma in discesa. 6,5/10

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