martedì 31 dicembre 2019

Scarti da TM #53

M. Zalla - Paesaggi (1971): Un Umiliani bucolico e pastorale, come lascia intuire la bella copertina agreste. Scenette stucchevoli e qualche sparuto fraseggio di gran classe. Siamo ben lontani da Mondo Inquieto e Problemi d'oggi, questo è certo, ma il serbatoio della stoffa inesauribile. 6/10

Karate - Unsolved (2000): Non lo capii all'epoca ed oggi lo trovo un incompiuta: la svolta jazz di Farina & Co. dovette passare attraverso una transizione per trovare un senso. A parte un paio di episodi più movimentati, l'atmosfera è fin troppo rilassata, asettica e i pezzi mancano di brillantezza. Si rifaranno col successivo. 6/10

Siouxsie and the Banshees - Join Hands (1979); Meno immediato di The Scream e meno artistico dei successivi, il secondo di S&TB soffre di una claustrofobia e di una eccessiva concessione ai concetti, trascurando l'omogeneità strumentale. Le arie ispirate non mancano, ma restano una minoranza e The Lord's Prayer è decisamente troppo lunga. 6/10

Julian Cope ‎- Peggy Suicide (1991): Un JC esuberantemente, effervescentemente POP, poco altro da dire. Con un po' di pregi (alcune arie davvero indovinate) e tanti difetti: una ruffianeria talmente marcata da sembrare surreale, la lunghezza eccessiva del disco (doppio) ed una produzione a suo modo ancora legata agli '80. 5,5/10

Exmagma - Exmagma (1973): La parola che mi viene in mente al termine del disco è sciatteria: tanto bravi tecnicamente questi tedeschi col loro impro-jazz-rock quanto disorganizzati e privi di una visione. In pratica le trovate armoniche vengono vanificate da un assetto fin troppo, per l'appunto, impro. Occorrevano altre doti? Semplicemente più talento? 5,5/10

Have A Nice Life - Sea Of Worry (2019): Qualche avvisaglia col secondo c'era stata, che gli HANL non fossero più in grado di eguagliare i livelli storici di Deathconsciousness. Questo, contrassegnato da un suono decisamente robusto, con chitarre piene, non è altro che un disco di revival new-wave di media fascia, con qualche deriva elettronica. Troppo poco, per loro. 6,5/10

Battles ‎- Juice B Crypts (2019): Va bene il cambiamento, il non ripetersi, ma oggi i Battles sono praticamente un duo elettronico. Non servono le comparsate stravaganti (Jon Anderson?) se poi in effetti il suono "veramente umano" è ridotto al minimo. Troppo freddi. Qualche trovatina geniale c'è. 6/10

Ben Frost - The Centre Cannot Hold (2017): Il BF di oggi non ha molto a che vedere con l'impressionista dei primi album, bensì uno scultore di ruvidezze elettroniche marziali, imponenti e colossali come la terra in cui vive da tempo, l'Islanda. Io lo stimavo di più prima. 6,5/10

Bill Callahan - Shepherd In A Sheepskin Vest (2019): SIB ha ragione, con gli anni si sta rincoglionendo. Questo è stato disco del mese. Il BC di mezza età, (salvo una parentesi geniale come il disco dub), è tutto qui, senza speranza; un distinto signore, inappuntabile, formalmente perfetto, ma incredibilmente prevedibile e noioso (oltretutto un disco doppio, quindi ancora più pesante). 5,5/10


sabato 30 novembre 2019

Scarti da TM #52

Legendary Pink Dots ‎- Malachai - Shadow Weaver Part 2 (1993): Più o meno il bello ed il brutto dei LPD: una sventagliata di stili molto intellettuale e sardonicamente psichedelica, ed una dilatazione temporale quasi insopportabile, che sgonfia il valore intrinseco di un disco che poteva essere davvero ottimale. 6/10

Anthony Moore - Pieces from the cloudland ballroom (1971): Agitatore avant-RIO con gli Slapp Happy e poi connesso agli Henry Cow, al primo solista. Il minimalismo regna sovrano, con la facciata B esuberante e colorita. La facciata A invece è un triplo canto mistico che si interseca, davvero duro da sopportare per 21 minuti. La media fa 6/10

Illusion Of Safety - Probe (1992): Un giovane Jim O'Rourke in piena sbornia sperimentale alla corte di Dan Burke. Un disco di una lunghezza spropositata, che passa dalle perforazioni auditive (le fasi migliori) a delle fasi estenuanti, interminabili, di pressochè silenzio. Appunto, kilometriche di silenzio. Ma perchè? 5/10

Anthony Pateras ‎- Blood Stretched Out (2017): Due lunghissime suite. La prima, puro strumming pianistico tempestoso, ma nulla che non facesse già Charlemagne Palestine 45 anni fa. Meglio la seconda, che sembra quasi un Chris Abrahams in vena cabarettistica. La media fa 6/10.

Strings Of Consciousness ‎- From Beyond Love (2012): Interessante esperimento fra post-rock e psichedelia, con voci diverse più o meno illustri. Il potenziale sarebbe alto, ma la disomogeneità e l'autoindulgenza la fanno da padrone. 6,5/10

Alan Vega - Station (2007): Il vecchio leone ruggiva ancora. Però, però, su quelle basi electro-clash ispide e moderne (e troppo lunghe, francamente), fa un effetto un po' rattristante: come vedere oggi un sessantenne indossare un paio di pantaloni con il risvolto altissimo, di quelli che vanno di moda fra i giovani. 6/10

giovedì 31 ottobre 2019

Scarti da TM #51

Tamia - Tamia (1978): Cantante francese intenta in un disco a cappella, fra orientalismi ed invocazioni mistiche. Ma per fare l'acappella, se non sei Demetrio Stratos o Diamanda Galas, è davvero dura tenere desta l'attenzione. 5/10

Arzachel - Arzachel (1969): Breve outfit pre-Egg con Steve Hillage. Premonitore in parte, perchè debitore estremo del filone psych-prog aulico alla Moody Blues / Procol Harum, mixato col brit-blues-rock, e non è un complimento. 6/10

Aurelio Valle ‎- Acme Power Transmission (2014): L'ex-Calla, tornato dopo una vita alla musica, ribadisce che gli altri due contavano quanto lui. Un cantautorato controverso che riprende i pregi e amplifica i difetti del passato: qualche bello spunto maudit ma più d'una decisa caduta di tono ed un indecisione di fondo che non giova al complesso. Tornerà? 6/10

Isildurs Bane & Peter Hammill - In Amazonia (2019): Il King PH presta la sua sacra ugola a questo gruppo svedese a me sconosciuto, per un art-prog-tech futuristico nelle volontà, ma che suona un po' kitsch e datato nella produzione. Brividi nella sobria The Day is done, ma il restante 80% è cervellotico ed involuto. 6/10

Society Line - Demo (1989): Il demo pre-God Machine. Ancora acerbi e troppo debitori della dark-wave, un elemento che sarà cruciale ma pur sempre laterale. E' chiaro che qualcosina di speciale si sente, ma la registrazione è di bassissimo livello ed il fatto che nessuno dei 6 pezzi sia sopravvissuto è indicativo. 6/10

Oneida - Romance (2018): Testardi ed incalliti, gli Oneida continuano con il loro elettro-acid-rock, ora più che mai debitore dei Can. Ma il loro destino è di attirare sempre meno le mie attenzioni, nonostante quest'ultimo contenga momenti davvero buoni. Ci pensa l'ultimo pezzo, un monolite di 20 interminabili minuti, a farmi gettare la spugna. 6,5/10

VV.AA. - A Homage To Neu! (1998): Difficilissimo, impresa titanica, cogliere il vero spirito dei Neu!, iconoclasta e rivoluzionario. In piena epoca di rivalutazione, i protagonisti di questo tributo non hanno pensato a niente di meglio che spingere sull'elettronica, con un risultato sconfortante, noioso, prevedibile e purtroppo, finanche elegante. 5/10

King Krule ‎- The Ooz (2017): L'ennesimo segno del mio inesorabile invecchiamento auditivo. Un disco che TUTTI hanno idolatrato all'inverosimile. Un cantautorato originale, un po' crooner, un po' indie, una voce convincente, qualche buon pezzo. Ma è troppo lungo e ciò che mi sembra mancare in primis è l'umiltà. Questo ragazzo se la tira da morire. 6,5/10

Papa M - Live from a shark cage (1999): Pajo alla riprova dopo il piccolo exploit di Aerial M, ma fu un ritorno alla realtà di un chitarrista che ha fatto la storia, sa estrarre la propria personalità ma non è un creativo capace di condensare con efficienza. La noia affiora a più riprese e cancella gli ottimi fraseggi, intercalati. 6/10

Jute Gyte - Ressentiment (2014): Nuove frontiere del metal creativo, in disperato tentativo di riciclarsi. Pezzi lunghissimi, tritacarne azionato col growl inflessibile, ritmica schiacciasassi e novitè, riff distorti quasi effetto phasing. Il giochino si fa interessante per i primi due pezzi, poi si capisce che è uno specchietto. Estenuante, ma non da buttar via. 6/10

Sleaford Mods ‎- Eton Alive (2019): Il giochino furbo mostra la corda. Già English Tapas non era memorabile. Era prevedibile che una formula così limitata iniziasse a tediare un attimo, anche perchè qui mancano del tutto quei colpi di genio etilici che rendevano speciali i dischi del 2014/2015. 6/10

Soundwalk Collective - Bessarabia (Transmissions) (2017): Antropologia e memoria storica in un collage di scabrosa hauntologia. Il concetto è alla base di tutto, i momenti migliori sono quelli un po' più movimentati e etnici, il grosso annoia un po'. Massimo rispetto, comunque. 6/10

Patto - 2000 Warts and All (Live at the Black Swan, Sheffield 1971): Live di qualità infame pubblicato giusto per stabilire che i Patto hanno un live, ma è meno di un bootleg. Il che è una vergogna, perchè il gruppo più sfigato della storia avrebbe strameritato un live come si deve, perchè si intuisce che suonano alla grandissima. 6/10

Roberto Aglieri - Ragapadani (1987): New-age flautata, non troppo stucchevole e con qualche episodio interessante, di tendenza etnica più che ambientale ma non gretta e commerciale. Non sarebbe stato male se non ci fossero state quelle tastieracce anni '80 che fanno venire una fitta allo stomaco ogni volta che fanno capolino. 6/10

lunedì 30 settembre 2019

Scarti da TM #50

Sun Araw - Ancient Romans (2011): Molto intrigante il concept sull'antica Roma, ma Cameron Stallones qui ha toppato. Un album troppo lungo, troppo diluito, in cui le idee vengono spalmate fino alla disidratazione totale. 5,5/10

Baker ⁄ Coloccia ⁄ Mueller - See Through (2019): Una specie di ambiet tribal-ritualistica, con i vocalizzi estatici della Coloccia, i tappeti estetici di Baker e le percussioni ipnotiche di Mueller. L'effetto finale è anestetico. E non è un grosso complimento. 6/10

Ain Soph - Kshatriya (1988): Sigla italica di lungo corso dell'esoterismo. Musica per rituali magici. La prima metà del disco è di una pesantezza mortale. La seconda migliora decisamente, ma non basta per averne una reputazione buona. 6/10

Mogwai ‎- Every Country's Sun (2017): Stanchezza, al primo disco dopo la dolorosa defezione di Cummings, la prima nella loro storia. Stanchezza che si fa quasi dilagante nella seconda metà del disco, dopo che la prima si era confermata agli ottimi livelli degli ultimi 4/5 anni. Ma diciamo che c'è più di una giustificazione. 6,5/10

Alternative TV & Here And Now - What You See... Is What You Are (1978): Live-Split inspiegabile, sopratutto per l'epoca ma si sa che Mark Perry era un bastian contrario inguaribile. La facciata ATV è quella che comparirà sulla ristampa di Vibing Up...., proditorio e punk-art-punk in rapida progressione. Terribili invece gli Here And Now, con un hard-space-rock dozzinale e dilettantistico. La media fa 6/10

Father Murphy ‎- Rising. A Requiem..(2018): Triste commiato per quest'epica band italo/cittadina del mondo. Capisco la concettualità e tutto, ma si tratta praticamente di una statica liturgia per voci e pochissima strumentazione, con dell'elettroacustica che non ha mai centrato nulla con loro, con zero dinamiche. Sono stati grandi comunque. 5/10

Gentle Giant ‎- Acquiring The Taste (1971): Troppo elaborato, estetico e multiforme, paradossalmente. I GG non erano per tutti ed avrebbero focalizzato meglio negli anni successivi la loro infinita ambizione. 6,5/10

Windhand - Grief's Infernal Flower (2015): Speravo che i Windhand si evolvessero verso qualcosa di più maturo del doom neo-classico, perchè la voce della cantante e qualche buona trovata non bastano a tenere desta l'attenzione. Invece questo album conferma i loro limiti, aggravato dall'eccessiva lunghezza. Grande Kingfisher, almeno. 6,5/10

Slits - Cut (1979): Davvero paradossale leggere che si tratta di una pietra miliare del post-punk. Per me si tratta di un album di pop mascherato alla Clash, ma molto più edulcorato e pulitino. O una parodia di Siouxsie che si mette a cantare motivetti demenziali. Bah. 5/10

Giles, Giles And Fripp ‎- The Cheerful Insanity Of GGF (1968): Appena un anno prima di In The Court of KC, il primo passo di Fripp coi fratelli Giles per quello che restava un disco di vaudeville, per quanto elegante, sofisticato ed impreziosito dalle prodezze di Mastro Bob, già un fenomeno a 22 anni. 6,5/10

Paternoster - Paternoster (1972): Terribile psych-rock ecclesiastico da parte di una sotterranea unità viennese, unico album in vita. Alla fine, se ci si arriva con un minimo di vita, si odia il suono dell'organo quanto la voce del cantante e come se non bastasse, ci si sente più atei di prima. 4,5/10

LR & Puce Mary - The Closed Room (2011): Electro-drone-noise non eccessivamente ottundente, nè sofisticatamente elaborato. Interessante ma un po' lungo. 6/10

Kukangendai - Palm (2019): Clamorosa delusione per il nuovo dei 3 nippos ultra-math. Un disco dall'evidente approccio psichico, che resta pressochè dormiente, minimale, senza nessuna variazione per ogni tema, senza scossoni. Noioso, nonostante il suono sia perfetto. 6/10

Mark Kozelek With Ben Boye And Jim White - s/t (2017): Markone contagia persino suoi collaboratori estemporanei e dai curriculum esemplari. Musicalmente ci saremmo anche, con uno scazzato ghost-post-jazz-folk per lui inedito, ed un paio di pezzi sono anche molto belli, ma la sbrodolatura generale ed il kilometraggio lascia esanimi a terra, al termine. 5,5/10

sabato 31 agosto 2019

Scarti da TM #49

Moon Relay - IMI (2018); Elettro-rock teso e vagamente vintagistico da parte di norvegesi normalmente dediti al jazz moderno. Sembra uno scherzo, ed in effetti potrebbe esserlo; a volte infilarsi in un terreno che non è il proprio, anche se è più facile, può essere molto scivoloso. Ed in questo caso la noia assale, assale, assale......5,5/10

Alan Sorrenti - Come Un Vecchio Incensiere All'Alba Di Un Villaggio Deserto (1973): Nettamente inferiore a quel gioiellino che era Aria appena un anno prima, non soltanto per le composizioni un po' banalotte, ma anche per la relativa normalizzazione generale delle atmosfere. Passi decisi verso l'abisso. 6/10

Catapilla - Catapilla (1971): Paradossi giganti. Primo album, freschi di contratto Vertigo: jams jazz-prog-blues stantie appena nate. Secondo ed ultimo album, un anno dopo, già licenziati dalla Vertigo ed obbligati ad assolvere l'obbligo contrattuale, in formazione rimaneggiata: meraviglia assoluta. Questi furono i Catapilla; un controsenso. 6/10

Egisto Macchi ‎- Città Notte (1972): Un Egisto mellifluo, di servizio, disposto a zuccherare partiture sonnolente per chitarre acustiche e violino. Eppure le macchiate sparse non mancano, quegli impeti di follia ed avanguardia che tante prodezze hanno causato. Ma se paragonato ad altre opere del periodo, impallidisce. 6,5/10

Whitehouse ‎- Birthdeath Experience (1980): Soltanto un anno dopo l'illuminato Rampton di Come, William Bennett varava la Casa Bianca radendo al suolo qualsiasi velleità art, seppellendo tutto sotto una dannata coltre di power electronics e declamazioni stentoree. Non nego che ha un certo impatto, ma fu un colpo di spugna, innegabilmente. 6/10

Fernando Grillo - Fluvine (1976): Il Paganini del contrabbasso, per la collana Diverso della Cramps, in un lungo solo basato più che altro sull'esplorazione della gamma di suoni prodotta dal legnone. Ho sempre detto che i dischi di solo basso sono inascoltabili, almeno questo si fa interessante perchè a volte suona come un violoncello ma ragazzi, quant'è peso. 6/10

Plastic Crimewave Sound ‎- No Wonderland (2006): Una lunghissima, interminabile orchite provocata da un hard-psych ottundente, rasente lo stoner ma dall'evidente, sottile approccio concettuale. Difficile arrivare alla fine. 4,5/10

Pullman - Turnstyles & Junkpiles (1998): Delicato, sonnolento album di fingerpicking da parte di un supergruppo composto da membri del giro Rex, Tortoise ed affini. Praticamente un tributo a John Fahey, ed allora dipende tutto dai gusti; bucolico e sopraffino in un caso, noioso e melenso nell'altro. 6/10

Jesu & Sun Kil Moon - 30 Seconds To The Decline Of Planet Earth (2017): Kozelek ha contagiato Broadrick e domina l'ultimo J&SKM con la sua incontenibile logorrea; il problema sono anche le basi, che vanno da un elettronica minimale all'orrido simil hip-hop, perdono la loro coloritura dei precedenti e non bastano un paio di buoni acustici a salvare il baraccone. 5/10

Cloud Nothings ‎- Last Building Burning (2018): Continuo a pensare che Dylan Baldi abbia il talento per rilasciare un grande disco, però di fatto continua a farne dei discreti e poco più. Il suo cantautorato indie-hardcore-grunge ha raggiunto il perfezionismo, ma non sorprende. Manca il coraggio o siamo arrivati in fondo? 6,5/10

mercoledì 31 luglio 2019

Scarti da TM #48

Slow Mass - On Watch (2018): Post-hardcore altamente evoluto, ai limite dell'emo ma con una sua fisionomia, che non è ruffiana nè troppo grintosa. Certe cantilene poi spezzano un po' le tensioni positive, il che potrebbe lasciar sperare in un futuro roseo, previa una maggior coesione. 6,5/10

God Is An Astronaut - God Is An Astronaut (2008): Al 4° album, i GIAA avevano di fatto sparato tutte le cartucce possibile e la formula, per quanto bella ed avvincente, iniziava ad essere trita e ritrita. Ecco la differenza con i maestri Mogwai ed Explosions: la classe fa la differenza. 6,5/10

Aidan Baker - Still Life (2011): Ci mancava soltanto che AB si mettesse a provare ad imitare i Necks. Quattro lunghe digressioni per piano ed un po' di batteria, sul minimalismo compassato e più spoglio dell'iper-trio australiano. Ma il problema d'incontinenza di AB è sempre il solito: su 50 minuti totali, le idee valide si concentrano in 3/4' e tanti ne sarebbero dovuti uscire. 5/10

Azure Ray - November (2002): Qualcuno me l'ha consigliato, non ricordo chi. Duo femminile, cantautorato folk-pop, ai limiti del mainstream, in una metà. Discreta l'altra metà, più raccolta ed intimista. La media fa 5,5/10.

Darkside ‎- All That Noise (1990): Il primo del gruppo di Pete Bassman dopo l'uscita dagli Spacemen 3. Psycho-pop che più vintage non si può, con folate di organo a banchi, chitarra alla Krieger, e la pessima voce del leader. Pezzi soporiferi. Andrà 100 volte meglio col successivo e finale Melomania. 5/10

Free - Fire And Water (1970): Una volta amavo i Free, soprattutto per la loro genuinità. Oggi non è che li disconosco, ma ammetto che non erano dei fenomeni in scrittura e i dischi in studio erano prodotti con grosse lacune. Per cui ritengo vadano relegati nella serie B del blues-rock, la quale di per sè non è una condanna. 6,5/10

Miranda - Inside the whale (2003):  Primo disco dei fiorentini, piacevole anomalia a base di post-rock, math e post-hardcore. Un debutto acerbo, indietro rispetto a quanto faranno in seguito, con un mixaggio pessimo, qualche iterazione di troppo ed una derivazione molto chiara (USA). Certo che rispetto ad altre ciofeche italiche, però, sempre grasso che cola. 6,5/10

Cough - Ritual Abuse (2010): Doom-metal ultra-stereotipato per 4/5, con unica eccezione in un gran pezzo che li fa sembrare dei pesissimi Dead Meadow pietrificati. Qualcosa ce l'hanno e l'hanno dimostrato in seguito (vedi split con i Windhand), ma a fare della roba così ci vuole fegato e faccia tosta, per prevalere sulla concorrenza. 5,5/10

Dead Rider - Dead Rider Trio featuring Mr. Paul Williams (2018): Interlocuzione di Todd Rittmann a supporto dello sproloquio di tal Paul Williams, a me totalmente sconosciuto. In pratica una serie di jams su uno spoken word ininterrotto, sempre di gran razza ma evidentemente realizzate con scazzo e senza tanto fondamento. Pausa creativa, diciamo. 6,5/10

Omega Tribe - No Love Lost (1983): Mi si proponevano come alter-ego dei Crass, con una maggiore propensione però alle commistioni wave. Generalmente buono ma ce ne correva abbastanza, per eguagliare quella creatività. 6,5/10

Third Ear Band ‎- Alchemy (1969): Molto inferiore al successivo che resterà più scolpito nella memoria collettiva. Qui più che altro c'è creazione di ambienti ancestrali, ma grosse idee innovative quasi nulla. 6/10

Constance Demby - Novus Magnificat (Through the Stargate) (1986): Discone beatificato ai 4 venti come colosso della new-age, persino da PS, ma che secondo me, nella sua solennità satinata/elettronica finisce ridimensionato rispetto al grandissimo Sacred Space Music, il suo umilissimo ed austero capolavoro. 6,5/10

sabato 13 luglio 2019

Post-Shazam #4 - Mental Hour Vol. 3 Lato A+B (1993)

Lato A - Track #2 (2)
Un bell'affresco cosmico di 7 minuti, basato su una sequenza circolare di 4 note, con i sequencer minacciosi in sottofondo ma mai preponderanti.


Lato A - Track #4 (4)
A volte capitava che il conduttore di turno elencasse gli artisti contenuti nel mixtape, con fretta e foga visti i ritmi alti della trasmissione. Non era facile capire i nomi, a volte, anche perchè erano a me del tutto sconosciuti. Alcuni di questi sono stati corretti nel tempo, sia dalle conoscenze intercorse che per merito di Shazam. Ma il dubbio spesso resta, ed il fascino del mistero ha lo strapotere.
Questa dovrebbe essere dei Front Line Assembly, ed è un minuto e mezzo per fiati, droni cosmici e voce femminile disperata.




Lato A - Track #6 (6)
Possibile sottofondo saltellante di Sextant, ovvero un duo techno-trance con Pete Namlook, inserito in un mixtape che perpetra la voce robotica della traccia precedente (Meat Beat Manifesto). Ipnosi meccanica in pista.



Lato A - Track #9 (9)
Un ethno-beat pulsante in una sequenza intrigante, per neanche due minuti che sfumano nel giro corrosivo iniziale di Assassin degli Orb.



Lato B - Track #2 (12)
Cattedrale imponente di Eminent. Solennità.



Lato B - Track #6 (16)
Splendido mini-collage per sgocciolio di e-piano, sinusoidi di moog e voce femminile operistica. 



Completavano la C-90 questi altri artisti: Psychick Warriors Ov Gaia, Polygon Window, Meat Beat Manifesto, John Carpenter, Jean Michel Jarre, Recoil, Space, Banco De Gaia, Cluster, System 7, Orb, This Mortal Coil e Future Sound Of London.
Qui c'è il post originalmente apparso su TM#1, che fino a quando era possibile avere le statistiche di Mediafire aveva guadagnato n. 57 downloads.

Segue vol. 4....

domenica 30 giugno 2019

Scarti da TM #47

Current 93 - Imperium (1987): Cercavo Imperium V, una imperiosa folk ballad dal vivo che conoscevo dai tempi di Planet Rock, presente però è sul live Hitler As Kalki. Qui ci si ferma al 4, ed è un disco un po' confuso, sospeso fra i demoni dell'inizio e qualche trovata kitsch, qualche caduta di dubbio gusto. Nel complesso buono ma non eccelso. 6,5/10

PJ Harvey - Rid of me (1993): Ai tempi non mi faceva impazzire ed oggi altrettanto. Diciamo che ho sempre preferito la PJ irresistibilmente femmina, e non il maschiaccio aggressivo degli inizi. Ottima la produzione di Steve Albini ma le songs non erano in fondo così memorabili. 6,5/10

Monster Magnet - Dopes to infinity (1995): Primo segno di declino inarrestabile per Dave Wyndorf, dopo lo scintillante major Superjudge. Un disco con 2-3 perle ma troppo lungo e tirato con poche idee sostanziali, in una parola stanco e forse vittima di una riacquistata "lucidità" mentale. 6/10

Mandragora ‎- Over The Moon (1988): Space-garage-rock vigoroso sulla scia degli Hawkwind di fine anni '70, con qualche interferenza world, sixties e persino punk. Un albo colorito e vivace, con tutti i limiti del genere, che dopotutto era pur sempre un rimasticamento non troppo creativo di un passato glorioso. 6,5/10

Soft Machine ‎- Man In A Deaf Corner (Anthology 1963 - 1970) (2001); Antologia piuttosto raffazzonata. C'è l'intero Live in Paradiso 1969 che conoscevamo, c'è un'accozzaglia di improvvisazioni delle origini di natura ultra lo-fi, invero sconclusionate, estratti sparsi del 69/70, e persino una As long as... riregistrata nel 2000 con Jakzik alla voce. Un po' troppa carne al fuoco, e alcuna davvero passabile. 6/10

Bark Psychosis - Replay (Live 1991): Ad aumentare ulteriormente il caos seminato dalla sovrapposizione di Game Over e Independency, ci mancava solo questo che di  veramente inedito propone uno stralcio live del 1991, in una fase interessante ma ancora un po' embrionale delle meraviglie di lì a pochissimo. 6/10

Robert Fripp - Exposure (1979): Non ho mai amato il KC mark II, quello di Belew, per intenderci. E questo va sostanzialmente in quella direzione, di decostruzione della canzone pop, ma con quintalate di narcisismo, salvataggi di Peter Hammill e cadute di tono inspiegabili se non nel complesso di un'operazione concettuale molto intellettuale. 6,5/10

Sebadoh - Sebadoh III (1991): Il più celebrato disco dei Sebadoh, ma a mio avviso inferiore ad altri limitrofi. Troppo lungo, forse, e dispersivo. Più d'un pezzo è quasi irresistibile ma altri calano la media. 6,5/10

Sigillum S - Dispersion Sliced Carrions And Pixel Handcuffs (1991): Le sonorità fanno decadere il valore intrinseco di questi maestri italici dell'esoterico. Troppi alti, e paradossalmente patinati. 6,5/10

Gnidrolog ‎- ...In Spite Of Harry's Toe-Nail (1972): Omaggiati dai nostrani Areknames, furono un nome di serie B del prog inglese. E se non li conosce nessuno ancora oggi, un motivo preciso c'è: avevano velleità importanti ma non erano semplicemente niente di che. Prog semi-pirotecnico con tanto flauto, chitarra aggressiva, didascalie a non finire e poca sostanza. 6/10

Fiery Furnaces - Bitter Tea (2006): Art-pop-vaudeville con tanti fronzoli, immerso in una bolla piacevole di melodie condotte da tastiere auliche. A volte sembra la versione rinascimentale dei Built To Spill, ma con composizioni più elaborate. 6,5/10

Bauhaus - Gotham (1999): Ben ricordo il clamore della reunion, specialmente su Rockerilla, che sembrava preludere un ritorno in grande stile. In realtà questo live non andò oltre una dignitosa professionalità; grande materiale, buone esecuzioni, ma poca aria fresca. 6,5/10

Roger O'Donnell ‎- The Truth In Me (2006): Il talentuoso tastierista dei Cure da solista, con un disco praticamente solo per Moog, qualche beat e qualche vocals femminile. Composizioni circolari, pigre e leziose, per un complesso così svenevole e con poche idee da annoiare a morte. Vade retro. 5/10

sabato 8 giugno 2019

Post-Shazam #3 - Mental Hour Vol. 2 Lato A+B (1993)


Lato A - Track #2 (2)
Due minuti di sola voce femminile acrobatica, trattati, effettati e manipolati all'inverosimile. Davvero difficile ipotizzare chi l'abbia prodotto, se la cantante stessa oppure se si sia trattato di una commissione. L'effetto è disorientante, quindi credo che l'obiettivo sia stato raggiunto. 


Lato A - Track #4 (4)
Un minuto e mezzo incastrato fra un drone dei Cranioclast e un nembo illusionistico degli Optic Eye. Un motivo tintinnante di piano elettrico, canti tribali e percussioni tonfanti.


Lato B - Track #3 (16)
Celestialità immacolata, di sicura estrazione euro, per un tappeto di synth increspato da isolati, brevissimi, acuti, vocalizzi femminili, quasi delle grida innocenti.


Lato B - Track #5 (18)
Rara incursione della MH in qualcosa di vagamente rock. Frasi serrate di basso e batteria, droni di didjeridoo in sottofondo, qualche folata di synth ed un vocalist monotono, esplicitamente arrabbiato, per qualcosa a metà fra lo space-rock ed il post-punk. Prima o poi scoprirò chi furono questi avventurieri....

Lato B - Track #6 (19)
Collage allucinatorio di consistenza stratificata, su una base rallentatissima, dove convivono almeno 4 fonti differenti che si accavallano. Notevolissimo quanto disorientante.
 

Lato B - Track #7 (20)
La base dovrebbe essere dei Cranioclast di Ration Skak, ma il responsabile dell'output ci ha buttato sopra un'altro collage sonoro degno del precedente (facile che fosse la continuazione del mixtape).


Lato B - Track #8 (21)
Il vortice allucinato delle due tracce precedenti sfuma in un loop onirico e sognante, un flauto-synth celestiale produce una suadente ipnosi. 


Lato B - Track #11 (24)
Un minuto da brividi: un (probabile) feedback di chitarra modulato tipo fischio ventoso, doppiato nel finale da una sirena. Troppo breve per essere vero.


Completavano la C-90 questi altri artisti: Orb, Cranioclast, Optic Eye, Seefeel, Syllyk, Sigillum S, Lory D, Drug Free America, Irresistible Force, Pet Shop Boys, Grid, Spritualized, Mickey Hart, System 7, Current 93, Future Sound Of London e Kraftwerk. 
Qui c'è il post originalmente apparso su TM#1, che fino a quando era possibile avere le statistiche di Mediafire aveva guadagnato n. 64 downloads.

Segue vol. 3....

venerdì 31 maggio 2019

Scarti da TM #46

Beach House - 7 (2018): Svanito da un pezzo l'effetto sorpresa, i BH continuano col loro stampo perfetto ed incorruttibile. Le tastiere elettroniche però ormai sono preponderanti, l'effetto è gradevole ma le grandi songs scarseggiano e soprattutto Victoria canta senza le impennate di un tempo, quasi fosse "narcotizzata". 6,5/10

Rifle Sport - Primo (1990): Un Todd Trainer penalizzato dalla produzione '80, nonostante la provenienza indipendente (che va da sè, fu deleteria anche per gli Husker Du), in un post-hardcore con commistioni interessanti, alla Mission Of Burma ma con riflessi post-punk-wave ben diffusi. Se avessero continuato forse sarebbero arrivati al capolavoro, magari registrato da Steve Albini. Ma finì qui. 6,5/10

Simple Minds - Empires And Dance (1980): Sofisticatissimi e ricercati, questi erano i SM al terzo. Non più genuini come nel primo, non ancora ruffiani come in New Gold Dream. Con un Jim Kerr monocorde, un suono glaciale, una produzione cunicolare, e ben poche impennate melodiche. Non era la loro area migliore, diciamo. 6/10

Khun Narin ‎- II (2016): Ero impazzito per il loro primo album, e svanito l'effetto sorpresa, resta un po' di noia. Certo la formula è limitata, e probabilmente non avranno altro da dire. Un'ascolto sempre gradevole, ma alcuni pezzi sono tirati un po' per le lunghe. Molto credo dipenda anche dall'umore in quel particolare momento....6,5/10

Spacemen 3 - Sound of Confusion (1986): Non ho speranze, non potrò mai farmi piacere gli S3, neanche nel primo che contiene dinamiche a loro dopo sconosciute ed una grinta che si scorderanno rapidamente. Ma basti pensare a quante cover ci sono qui per ribadire il mio concetto base....i Loop se li mangiavano come un paninino. 6,5/10

martedì 30 aprile 2019

Scarti da TM #45

Sightings - Michigan Haters (2002): Temibilissimi, caotici, ultrarovinosi i primissimi del noise-trio, forse un po' acerbi in prospettiva dei mezzi miracoli che riusciranno a fare in successione. Comunque bravi nei loro tellurismi spastici, a loro modo creativi e persino interessanti nei pezzi da 8/9 minuti. Certo che arrivare alla fine è dura, ma ricompensa. 6,5/10

Dirty Projectors ‎- Lamp Lit Prose (2018): Gli arrangiamenti sono cangianti e il songwriting è a tratti brillantissimo, ma tutti quei coretti in falsetto e le derive ultra-pop rendono diabetico gran parte dell'insieme. Paradossalmente se si fossero presi più sul serio sarebbero stati più simpatici. 6/10

Mark Kozelek - Mark Kozelek (2018): Nonostante un ritorno a dimensioni più intimiste rispetto all'orribile pseudo-rap del 2017 e qualche armonia in penna delle sue, non c'è quasi speranza che Markone rinsavisca e la smetta di farneticare questi interminabili monologhi che sinceramente hanno un po' rotto i maroni. 5/10

Dadamah - This Is Not a Dream (1995): Lo-fi-psych mutuato dai Velvet Underground, con quelle morbosità innocenti tipiche, un buon lavoro di chitarre (Roy Montgomery), ma alla lunga un po' troppo letargico. Indicato generalmente come una pietra angolare del genere, mi lascia abbastanza disinteressato. 6,5/10

Grifters - So Happy Together (1992): D'accordo, un disco coraggioso e pieno di spunti il debutto dei memphisiani, ma in prospettiva inferiore ai due successivi (soprattutto il capolavoro Crappin' you negative), cioè meno ricco di quelle trovate melodiche geniali. Qui si prediligevano i colpi di scena sonori, perdendo un po' il filo del discorso. 6,5/10

Jessamine - Another Fictionalized History (1997): Raccolta di singoli, che detta così suona strano per un gruppo ai margini come i Jessamine, a metà '90s stabili su Kranky, dediti ad una psichedelia invero letargica, semi-rumoristica, dediti alla jam e ben poco concentrati ad una visione d'insieme. In una parola, noiosi. 6/10


Cluster & Eno - Cluster & Eno (1977): Fascinosa joint-venture sulla carta, non troppo riuscita nella pratica. 9 vignette brevi e mixed feelings, dall'ambient al minimalismo, in una veste non molto omogenea. Autoreferenziale nonostante i suoni siano fantastici. 6,5/10

Daniele Patucchi - Man from deep river (1972): Il refrain principale è da manuale come si conviene ad un nostro purosangue di razza della soundtrack, mai abbastanza citato nelle cronache. Peccato che venga ricoperto di dialoghi e riprese che lo rendono un documento fine a sè stesso, forse per mancanza di qualcosa di più ufficiale. 6,5/10

Great Saunites - Brown (2018): Disco confusionario, troppo preso dalla smania di svariare nel suo minimalismo e citazionismo e situazionismo che non porta un granchè in là. Questa deriva intellettuale che hanno imboccato i GS non mi sfagiola. 6/10

Red Stars Theory - But sleep came slowly (1997): Se esistesse un sensore che indica la percentuale di Novantaesimo in un disco, questo direi si assesterebbe al 99%. Buon indie-emo-slowcore, diciamo fra Rex, Joan Of Arc e Modest Mouse, forse mancano un po' i colpi compositivi. 6,5/10

American Football - American Football (LP2) (2016): Per quanto sia formalmente impeccabile, suonato da dio e gradevole, non riesco ad impazzire per il ritorno dei numi tutelari dell'emo-soft (perchè soft è, sfido chiunque). Cantilene tortuose, intarsi di chitarre complicati quanto leggeri, voce un po' fastidiosa nel suo inerpicarsi. Torpore sommario. 6/10

Brian Case - Plays Paradise Artificial (2018): Il mitico BC gioca a fare il tenebroso crooner elettronico, come se volesse dare una sua interpretazione glaciale dei Suicide. Non mancano buoni momenti ma l'impressione è che si sia dato ad un esercizio di stile che non è proprio nelle sue corde. Ma una reunion dei 90DM, no? 6/10

Guru Guru - Kanguru (1972): Meglio del precedente Hinten ma ancora nulla di fronte a quell'UFO con cui bombardarono la terra un paio d'anni prima. Senza quegli sballi, GG era un power-trio muscolare di space-blues sul pezzo ed avvicente, ma il fattore sorpresa era definitivamente bruciato. 6,5/10

Mount Eerie ‎- Now Only (2018): Col lutto che ha subito, a Phil Elvrum si perdona tutto, anche un disco svanito, monotono e privo di impennate come questo, che peraltro soffre di una verbosità eccessiva, diciamo grossomodo il morbo dell'ultimo Mark Kozelek. Contagio? 6/10



domenica 31 marzo 2019

Scarti da TM #44

Pontiak - Dialectic of Ignorance (2017): Pur continuando a tenere una più che buona qualità media, noto che i Pontiak forse hanno raggiunto il punto di saturazione. Più di un momento di DOI mi ha ricordato i Pink Floyd della maturità, e non è un male ma forse la carenza di reale ispirazione è il pericolo dietro l'angolo per il loro suono bello pieno saturo. 6,5/10


Equiknoxx - Bird Sound Power (2016): Un elettronica stentorea, con un pizzico di rappato, improntata su un songwriting interessante e non algido. 6,5/10

Suishou No Fune - Suishou No Fune (2005): Debutto del duo nipponico che 3 anni dopo farà grandi cose con Prayer for chibi. Qui ancora un po' acerbi come pronipoti di Keiji Haino virato light ma già personali, con una batteria che spunta in due pezzi, una sommaria approssimazione, insomma idee chiare ma mezzi ancora lievemente deficitari. 6,5/10

Umberto Maria Giardini - Futuro Proximo (2017): Non un disco deludente, ma evidentemente sotto gli standard a cui UMG ci ha abituato. Soltanto mancano quelle impennate di magica ispirazione che lo marchiano come più grande cantautore italiano degli ultimi 20 anni. Ho avuto qualche timore, fortunatamente risolto col nuovo, splendido Forma Mentis. 6,5/10

Vic Chesnutt ‎- North Star Deserter (2007): Mi ero illuso di aver trovato un semi-idolo, seppur in ritardo. Invece temo che West of Rome sia rimasto un caso unico, perchè Drunk è deludente e anche il Chesnutt degli ultimi anni, sempre più in preda alla depressione, non mi ha entusiasmato per niente. 6/10

Buñuel ‎- The Easy Way Out (2018): Mostra leggermente la corda rispetto all'ottimo esordio il super-quartet italo-ESrobinsoniano, in classica vena 90's noise-rock, ma avvantaggiato da una produzione come sempre super-impeccabile (Iriondo) che rende giustizia piena. Mancano semplicemente i colpi di reni che avvantaggiano A resting place for strangers. 6,5/10

Hector Zazou ‎- Sahara Blue (1992): Una rassegna di ospiti di tutto rilievo per questo omaggio a Rimbaud. Il che finisce per essere una sagra della vanità, come spesso in questi casi dove il direttore si limita a comporre e a far eseguire a cotanto stuolo. Un art-world salottiero che la grande Ophelie non basta a risollevare dalla mediocrità generale. 5,5/10

Movietone ‎- Day And Night (1997): Avessi fatto io un 20 Essentials dello Slow-Core avrei barato mettendo 3 Red House Painters, 2 Codeine, 2 Idaho, e non avrei riempito i vuoti con dischi scialbi, letargici e piatti come questo. 5/10

giovedì 28 febbraio 2019

Scarti da TM #43

Kill The Vultures - The Careless Flame (2006): Vale lo stesso discorso che feci tempo fa per i New Kingdom: odio l'hip-hop, ma se dovessi essere condannato ad ascoltarlo, questo va bene.  Poco invasato, suono polveroso ed organico, abbastanza breve per non stancare. 6,5/10

Mark Sandman - Sandbox (2004): Raccolta antologica con ben 31 inediti (!) di tutta la carriera di MS, quindi anche fuori dai Morphine. Qui sta il problema: la sua essenza era di cantautore pop, e finchè era contenuta nel magic-trio si esprimeva al meglio. Fuori da esso, il giudizio è impietoso. Almeno 20 tracce sviano su un caramello fangosissimo, e sono talmente mediocri che era meglio tenerle nel cassetto. 5,5/10

Formula 3 - Sognando e risognando (1972): Due pezzi normali di Battisti/Mogol e due lunghe suite autografe, nel tentativo di smarcarsi con autorità. Molto bella L'ultima Foglia, scolastica Aeternum. Era un prog molto ben suonato e persino personale, ma le influenze mainstream pesavano un po'. 6,5/10

Egg - The Civil Surface (1974): Uscito praticamente postumo, anzi, assemblato per terminare lavori rimasti incompleti. Lo stile è quello dei grandi primi due, ma una certa autoreferenzialità si era fatta strada, andando a complicare le cose oltre il dovuto. Era il destino comune di tutto il prog & affini, dal quale non sfuggiva neanche questo grande trio incompreso. 6,5/10

Andy Anderson

A certe cose non ci pensi mai. In questi giorni tiene banco il lutto, molto più circolare, di Mark Hollis, che meriterebbe libri su libri anche soltanto per il suo silenzio. Poi oggi scopro che è venuto a mancare Andy Anderson e penso, diavolo, se non erro è il primo Cure a lasciare questa valle di lacrime. E' con ogni probabilità il più anziano ad aver mai militato (classe 1951), ed era stato in formazione per poco tempo, fra il 1983 e l'84. Entrò ad altezza Lovecats e fu sbattuto fuori durante un tour nell'anno successivo; pare che fosse un bevitore di grande levatura, una notte sradicò un albero (!), aggredì tutti i compagni fisicamente e si chiuse in camera, disseminato di pezzetti di corteccia. La mattina dopo venne svegliato con cautela, non fece storie quando gli venne notificato il licenziamento, e si costruì una carriera di session man di tutto rispetto, includendo Peter Gabriel e Mike Oldfield fra i più famosi.
Era evidentemente un batterista eclettico, l'ideale per la svoltina di Japanese Whispers, con quel suo stile felpato, ritagliato appositamente per Lovecats e Speak My Language, ma in grado di far gran bella figura anche su The Top, caratterizzato da tanti stili per quanto imperfetto fosse quell'album, ed in grado anche di dire la propria su Concert, che metteva in mostra uno stile potente e primitivo, grezzo ed asciutto. Poi era chiaro che qualunque batterista venisse dopo Lol Tolhurst avrebbe avuto vita facile, ma AA aveva il potenziale per ritagliarsi uno spazio duraturo alla corte di Ciccio Smith. Senonchè andò come andò, ed il suo successore Boris Williams non lo fece certo rimpiangere.
Se ne va quindi un personaggio abbastanza marginale della saga quarantennale dei Cure. RIP.

domenica 17 febbraio 2019

Post-Shazam #2 - Mental Hour vol. 1 Lato B (1993)



Lato B - Track #2 (13)
Davvero nulla a che vedere con l'ambient. Un pezzo abbastanza canonico di wave-dub, ruspante e bello circolare, con tanto di assolo di chitarra. Dal canto sembrerebbe essere inglese, ma non ha nulla a che vedere con Pop Group, 23 Skidoo o affini. Direi più proveniente da degli ex-punk riconvertiti alla causa. Dovrebbe essere facilmente identificabile, per un espertissimo dell'epoca.


Lato B - Track #3 (14)
Un meraviglioso maelstrom che tutti gli indizi riconducerebbero ai Seefeel, se non fosse chè in tutta la discografia fino al '93 incluso non compare nulla del genere. Intervallata da un annuncio di Luca De Gennaro, è un vorticare di voci, flauti, percussioni, eminent, audio generators che ha del divino. 



Lato B - Track #5 (16)
Stesso identico discorso di sopra, applicato agli Scorn. Sembra un remix di Scorpionic rallentato, oppiaceo e denudato dal basso, ma alla fine la riflessione è che i casi sono due: o questi sono live mixes ad opera di Spillus oppure le bands facevano delle uscite laterali/limitate che non sono comparse su Discogs.

Lato B - Track #7 (18)
E giù nel gorgo rave, in piena. Ipercinesi acidissima, che in tutta onestà non saprei dire se catalogabile come house o altro affine. Potrebbe essere dei Future Sound Of London o di qualche belga della KK. Non è la mia priorità, comunque. All'epoca non fu certo questo che mandò in orbita la mia sensibilità.


Lato B - Track #9 (20)
Atmosfera quasi carpenteriana-cibernetica, con droni robotici in riverbero ed il monologo di uno yankee che sembra sbruffone ma al contempo anche quasi impaurito.


Lato B - Track #11 (22)
Di nuovo atmosfere techno-trance, questa volta più da club europeo che da acid-rave inglesi, da EBM, ciberneticamente allucinate. La qualità è davvero bassa ma dovrebbe essere facilmente riconoscibile da parte di un super-esperto del settore.


Completavano la C-90 questi altri artisti: Orb, Clock Dva, Pop Group, Embryo, Ozric Tentacles, Echo Art, This Mortal Coil, Shamen, Future Sound Of London, Porcupine Tree e Art Of Noise. 
Qui c'è il post originalmente apparso su TM#1, che fino a quando era possibile avere le statistiche di Mediafire aveva guadagnato n. 120 downloads.

Segue vol. 2...........

giovedì 14 febbraio 2019

Post-Shazam #1 - Mental Hour vol. 1 Lato A (1993)

Anche dopo 25 anni, non mi sono ancora arreso. Shazam ha fatto un ottimo lavoro, per essere un applicazione essenzialmente mainstream. Onore ai compilatori del database che hanno incluso nelle miniere Clock Dva, Ozric Tentacles, Embryo, Pop Group ed altre eminenze del sotto-suolo. So che non ci sono praticamente speranze, ma quantomeno un'appello scritto e reso pubblico viene rilasciato per restare. Qualcuno conosce titolo e/o artista nei video sottostanti?
Parto, superfluo, dal leggendario primo volume (aehm, la prima C-90, rigorosamente TDK) della Mental Hour di Planet Rock. Siamo nel Gennaio del 1993.
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Lato A - Track #1 (01)
Intro anomala. 20 Secondi di Contrabbasso Jazz, fluente e felpato, folate di archi, piano in contrappunto. Collage? Estratto da un classicissimo del genere? O da un oscuro?


Lato A - Track #2 (02)
Purissimo tribal immerso in una giungla. Solo percussioni, un ronzio (credo il didjeridoo), ipnosi e girotondo incessante. Un minuto e mezzo.


Lato A - Track #3 (03)
Ancora tribalismi, ma di respiro ampio. Il flautino Andino svisa in libertà, trasportato dal vento, per poi atterrare attorno ad un falò, dove un gruppo di uomini grida ritmicamente, con enfasi, invocando chissà cosa
.

Lato A - Track #5 (05)
Torniamo in città. Il reading di un uomo, molto probabilmente anziano, asettico ma al tempo stesso inquietante, prima compatto e poi in sfaldamento, quasi robotico. Gli ultimi 30 secondi, un piano atonale, molto più inquietante, a volume basso, proveniente da una stanza attigua. Altissimo tasso di suspence. Cosa può succedere?


Lato A - Track #7 (07)
Dieci minuti netti, uno streaming techno-ambient molto romantico. Ritmo sostenuto ma non da club, refrain principale robotico ma profondamente melodico. Lo direi di provenienza europea, ma non dalla Perfida Albione, realizzato da artisti con delle influenze gotiche contaminate dai corrieri tedeschi. Chi mai sarà? Forse dei tardi Tangerine Dream?


Lato A - Track #8 (08)
Un fascinoso loop di armonici (piano elettrico o chitarra?) su cui si srotola un androide vocoder annunciatore, che inneggia al mitico Spillus DJ.

giovedì 31 gennaio 2019

Scarti da TM #42

Neutral Milk Hotel - In The Aeroplane Over The Sea (1998): Un decantatissimo della critica, specie da BU. Un cantautorato pop-acustico ma eseguito con un'urgenza ed una frenesia quasi inarrestabile, quasi tutto con chitarra, qualche ritmica e qualche fiato, ed una voce esacerbata. Qualche buon pezzo c'è. Ma io non arrivo al 7/10.

Peaking Lights - Cosmic Logic (2014): Gettano la maschera e si danno al synth-pop hypnagogico con voce ingenuamente stonata. Le chitarre non esistono più. E' stata una scelta di campo importante e forse anche coraggiosa. Alla fine è persino gradevole perchè non ruffiano, ma quelle di 936 erano ben altre luci. 5,5/10

Blues Control - A Full Tank (2007): Questi sono (erano?) i BC: un duo di sballati persi, in grado di prodezze come il primo album o di nefandezze come questa accozzaglia confusa, registrata malissimo, con inspiegabili inserti di Guns'n'Roses, giochini blues inqualificabili, e poca della sbobba su cui si esprimevano al meglio. 4,5/10

Rovescio Della Medaglia - Io come io (1972): Inferiore al mitico La Bibbia, forse perchè improntato su una maggiore cervelloticità e danneggiato da una produzione asettica come pochi altri in quegli anni. Ottimi momenti nella seconda metà, comunque. 6,5/10

Tomografia Assiale Computerizzata - Il Teatro Della Crudeltà (1987); Electro-art-post-RIO, molto distaccato dal debutto di pochi anni prima che avevo apprezzato. Di certo era una proposta molto originale, ma piuttosto dispersiva, troppo legata ad un flusso di immagini che occore visualizzare nella propria mente, e non è facile. 6/10

Tiziano Popoli & Marco Dalpane - Scorie (1985): Zingales è un grande, niente da dire. Mi ha fatto scoprire cose incredibili ma ogni tanto mi frega, specie su Rewind, quando parla di presunte perle disotterrate dal nulla come questa specie di new-age fatta con quelle tastierone MIDI che fanno accapponare la pelle. E non è la prima volta, confesso. 5/10

Fugazi - The Argument (2001): L'ultimo Fugazi era l'istantanea di un gruppo forse in discussione, indeciso sulla direzione da prendere: proseguire con la sperimentazione o tornare a rollare come all'inizio? Frutto di una probabile faida interna, non accontentò nè gli uni nè gli altri. Poi oh, erano sempre i Fugazi. 6/10

John Carpenter ‎- Anthology (Movie Themes 1974-1998): Remake interno di certuni classici. Senilità apparente per Carpenter che si auto-celebra, con un autoironia quasi insospettabile. Il trattamento è hauntologico con qualche caduta nel tamarrismo più totale, come l'iniziale. Certi brividi sono perpetrati, anche in contesti dubbi. 6,5/10

Guru Guru - Hinten (1971): La maledizione di UFO, la pietra miliare di esordio, fu deleteria per i GG. Da temibili e sbandati psych-corers si trasformarono in professionisti dello sballo, e per quanto Hinten sia gradevole, non può reggere il confronto con quel monumento dell'anno precedente. 6,5/10

Quicksilver Messenger Service - Winterland November 1968: Gran fregatura, questo live di cui da qualche parte avevo letto si trattasse di una variante da sballo di Happy Trails. Sorpresa, è esattamente quello replicato e perlopiù con una patina ingiallita (dovuta alla non produzione). Il resto poi è passabilissimo, a parte Smokestack lightning. Doppione pressochè inutile. 6/10

Watter - History Of The Future (2017): Non mi convince di nuovo, il secondo album side project di Zak Riles dei Grails; ancor di più perchè il mito Britt Walford c'è e non c'è, e pare che ora sia fuori. In ogni caso, siamo sul versante Grails un po' più ripulito e fin troppo estroso, girandolante e policromo. A tratti bello, ma non abbastanza per stregare. 6,5/10

Dzyan - Electric Silence (1974): Psych-Kraut di bassa classifica, per un terzetto teutonico molto tecnico, ai limiti del jazz-rock più estatico. Vanità e velleità, sventagliate di sitar, ritmica a parte ma che quando si sveglia, scatenatevi bestie. La differenza con gli Ash Ra Tempel non era nel talento, era nelle visioni. 6,5/10

John Lennon & Plastic Ono Band - John Lennon & Plastic Ono Band (1970): Ho sempre trovato irritanti i Bitolz, e non sopporto neanche il Lennon più maturo, proprio perchè aveva pose e velleità intellettuali che fanno quasi sorridere. Risibili le ritmiche, prosciugate le canzoni, ben poca sostanza e tanto fumo. E la Ono? Qualche abbellimento superfluo. Bah. 5/10

Giles Corey - Deconstructionist (2012): Le note: This is not a regular album, e via con un pistolotto filo-medicale che fa incuriosire. In realtà Barrett ha partorito un mostro da un ora e mezza, un concept su temi leggerini come il suicidio, che vive di stasi insopportabili, di suoni che non vanno da nessuna parte, di ossessioni da cella d'isolamento. Non va. 4,5/10